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La disciplina in materia di ferie è regolata dall’art. 36, comma 3, della Costituzione, che tutela il diritto del lavoratore ad un periodo di ferie annuali retribuite cui non può rinunciare.
Le ferie, quindi, sono un diritto irrinunciabile del dipendente, avendo la finalità di consentire il recupero delle energie psicofisiche.
Il Ministero del Lavoro, con apposita Circolare n. 8/2005, ha definito i periodi di ferie ai quali i contratti collettivi nazionali di lavoro possono in ogni caso prevedere condizioni di miglior favore per i dipendenti.
I periodi di fruizione sono così suddivisi:
Il prestatore di lavoro ha quindi diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane.
A differenza dei permessi retribuiti, le ferie non godute non possono essere monetizzate in busta paga.
Unica eccezione è quella riconducibile al caso di interruzione del rapporto di lavoro, infatti, in tale ipotesi le ferie non godute (residue) vengono liquidate unitamente alle spettanze di fine rapporto.
Ma cosa succede se il lavoratore non fruisce delle quattro settimane di ferie entro i termini di legge?
Nel caso in cui il dipendente abbia accumulato un residuo ferie la cui maturazione è riconducibile ad un periodo superiore a diciotto mesi, il datore di lavoro è tenuto ad assoggettare la retribuzione corrispondente all’eccedenza di ferie residue a contribuzione.
Il mancato godimento del periodo minimo legale delle ferie, o di quello più ampio previsto dai contratti collettivi, è punibile con una sanzione amministrativa di carattere pecuniario:
È possibile liquidare le ferie residue mediante l’erogazione dell’indennità sostitutiva per ferie non godute, nelle due seguenti ipotesi:
L’indennità sostitutiva è da considerarsi imponibile sia a livello fiscale che previdenziale.
I datori di lavoro sono quindi chiamati ad una verifica puntuale delle ferie residue dei dipendenti.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro