In materia di rifiuto del lavoratore a sottoporsi alla vaccinazione COVID-19, in assenza di direttive ufficiali, si è pronunciata la giurisprudenza e da ultimo il Tribunale di Roma.
Con l’Ordinanza del 28 luglio 2021 è stato confermato il provvedimento con cui un datore di lavoro ha sospeso una lavoratrice che, rifiutatasi di sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID-19, alla visita medica è risultata non idonea alla mansione a cui era addetta.
Il medico competente aveva dichiarato che la dipendente era “idonea con limitazioni”, dovendo “evitare carichi lombari maggiori/uguali a 7 kg” e che la stessa non poteva “essere in contatto con i residenti del villaggio”, in considerazione del rifiuto dalla stessa opposto al vaccino contro il COVID-19.
Verificata l’impossibilità di adibire la dipendente ad altre mansioni in azienda, il datore di lavoro ha proceduto a comunicarle la sospensione dal lavoro e, conseguentemente, della retribuzione.
Il Giudice, nel caso di specie, ha valutato il provvedimento del datore non come una sanzione disciplinare verso il rifiuto della dipendente di sottoporsi a vaccinazione, bensì quale doveroso provvedimento di sospensione in risposta alla parziale inidoneità della lavoratrice alle proprie mansioni ed all’ impossibilità di destinazione della stessa a mansioni diverse in azienda.
Per quanto riguarda la sospensione della retribuzione, anche questa è stata ritenuta legittima dal Tribunale. Secondo concorde giurisprudenza in materia, infatti, il datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione se le prestazioni lavorative vengono vietate dal medico competente e il primo può legittimamente rifiutare di riceverle.
Il Tribunale ha altresì collegato il contegno della lavoratrice alle norme sulla sicurezza sul lavoro contenute nel T.U. in materia (D.Lgs. n. 81/2008), sostenendo che il lavoratore, nello svolgimento della prestazione lavorativa, non sia tenuto solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche a osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti con cui entra in contatto. Tali argomentazioni sono state sostenute anche dal Tribunale di Modena in altra recente Sentenza di un caso analogo (Ordinanza 19 maggio 2021).
Alla luce delle recenti decisioni in materia, emerge dunque come l’ingiustificato rifiuto di vaccinarsi opposto dal lavoratore renda la prestazione lavorativa, se non vi sia possibilità di ricollocamento altrove, non utile e irricevibile da parte del datore di lavoro, il quale può procedere a sospendere il lavoratore e di conseguenza la retribuzione.
Si rimane in attesa di un celere intervento legislativo che possa portare maggiori certezze in questo delicato ambito.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro
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