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La Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in materia di caporalato affermando che, nel caso in cui ci si approfitti dello stato di bisogno e venga provata la condizione di difficoltà dei dipendenti, è legittimo l’arresto in flagranza dell’imprenditore che sfrutta i lavoratori.
Per caporalato si intende quel fenomeno che si realizza con l’avvenire di due condotte delittuose:
Per arginare tale fenomeno il Legislatore, con il D.L. n. 138/2011, novellato dalla Legge 199/2016, aveva introdotto nel Codice Penale il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (artt. 603-bis e 603-ter). Questa norma punisce oggi le seguenti condotte:
Nella sua forma semplice il reato di caporalato è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Sono comunque previste alcune circostanze aggravanti in grado di aumentare la pena, ossia:
La Legge n. 199/2016 ha aggiunto al Codice Penale l’art. 603-bis.1, secondo cui, per i delitti previsti dall'art. 603-bis, la pena è diminuita da un terzo a due terzi nei confronti di chi:
Con la Sentenza n. 28735 del 23 luglio 2021 la sezione penale della Suprema Corte ha chiarito che è legittimo l’arresto in flagranza dell’imprenditore che sfrutti lo stato di bisogno dei lavoratori, nel caso in cui venga provata detta condizione di difficoltà dei dipendenti.
La Corte afferma che l’adozione della misura pre-cautelare a carico dell’imprenditore che sfrutti lo stato di bisogno dei propri dipendenti è giustificata nell’ipotesi in cui ricorrano gravi indizi di colpevolezza, ossia:
Il Giudice è tenuto infatti ad accertare, tenendo conto esclusivamente della situazione conosciuta o conoscibile al momento in cui l'arresto è stato effettuato e non anche di elementi successivi, l'astratta configurabilità del reato per cui si procede e la sua attribuibilità alla persona arrestata, quali condizioni legittimanti la privazione della libertà personale.