Le aziende hanno sempre più frequentemente la necessità di installare sistemi di videosorveglianza per rispondere ad esigenze di sicurezza e tutela del patrimonio aziendale.
Negli ultimi anni, il delicato equilibrio tra gli interessi coinvolti nelle attività di videosorveglianza ha dettato l’evoluzione della disciplina normativa in merito.
Se da un lato la materia della videosorveglianza ha un impatto immediato sulla privacy, tale da richiedere l’invocazione del GDPR e dei suoi principi, nonché dello Statuto dei lavoratori, dall’altro la tutela del patrimonio aziendale ha portato in diverse occasioni i Giudici di legittimità a pronunciarsi a favore dell’utilizzo di impianti occulti quale extrema ratio, a fronte di gravi condotte illecite.
La questione ruota attorno all’applicazione dell’art. 4, primo comma, della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) che, anche nella formulazione introdotta dal Jobs Act (D.Lgs. n. 151/2015), prevede che l’installazione di un impianto di videosorveglianza non possa avvenire in assenza di uno specifico accordo collettivo, stipulato tra il datore e la rappresentanza sindacale unitaria o aziendale (o comunque quella comparativamente più rappresentativa, se riguardante sedi ubicate in più Province o Regioni).
In assenza di tali rappresentanze si può procedere all’installazione solo con l’autorizzazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL) o, nel caso di imprese con unità produttive site in più distretti, direttamente del Ministero.
L’adempimento consiste nella stesura di un documento specifico a corredo dei progetti tecnici e le istanze di autorizzazione devono essere quindi accompagnate da apposita documentazione a supporto della richiesta, formalizzata nell’apposito documento di valutazione dei rischi (DVR).
Successivamente, il datore di lavoro dovrà informare con formale comunicazione tutti i lavoratori della presenza dell’impianto di videosorveglianza.
I datori di lavoro, prima di installare le telecamere dovranno essere in possesso dell’autorizzazione rilasciata dall’ITL, oppure da apposito accordo sindacale.
Non è quindi possibile installare le telecamere e coprirle, oppure installare le telecamere e non attivarle.
Laddove nell’ambito di un’ispezione, venisse riscontrata l’abusiva presenza di strumenti preposti a tale attività di controllo, l’impresa verrà sanzionata e, ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 758/1994, obbligata ad adempiere alle disposizioni normative rimediando all’irregolarità rinvenuta non oltre il tempo tecnicamente necessario a rimuoverne le cause.
Per ravvisare la violazione delle norme in esame, non è necessario che l’impianto sia funzionante, è infatti sufficiente che le apparecchiature di videosorveglianza o di localizzazione satellitare siano installate, anche se non concretamente utilizzate.
Il mancato rispetto della norma in materia di videosorveglianza comporta l’applicazione di un’ammenda da 154 a 1.549 euro, ovvero con l’arresto da quindici giorni a un anno, salvo che il fatto non costituisca più grave reato (ai sensi dell’art. 83, paragrafi 4 e 5 del GDPR).
Pertanto, se l’Ispettorato riscontra l’installazione abusiva, intima il datore di lavoro a sanare l’irregolarità in un termine successivo, prorogabile su richiesta del contravventore, ma dalla durata massima di sei mesi, affinché il datore regolarizzi la sua posizione, tramite la rimozione degli impianti.
In alternativa, il datore di lavoro può raggiungere l’accordo con la rappresentanza sindacale, ovvero ottenere l’autorizzazione dell’ITL, prima di tale termine, facendo venire meno i presupposti oggettivi dell’illecito. In tal caso, il contravventore sarà tenuto a pagare, nel termine di trenta giorni, una sanzione di importo pari al 25% del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
In conclusione, occorre precisare che il datore di lavoro non potrà utilizzare strumenti di videosorveglianza per controllare l’attività del lavoratore, mentre è possibile utilizzare strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze sempre nel rispetto della normativa sulla privacy.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro
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