Il licenziamento è il recesso dal rapporto di lavoro esercitato dal datore di lavoro. La disciplina di riferimento è costituita dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge n. 300/1970) e dalla Legge n. 604 del 15 luglio 1966, come modificati dalla Legge n. 92 del 28 giugno 2012, ai quali si è poi affiancato il D.Lgs. n. 23 del 4 marzo 2015.
Il licenziamento per giusta causa trae fondamento normativo nell'art. 2119, Codice Civile, il quale così dispone: "ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma dell'articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal Codice della crisi e dell'insolvenza.”
La giusta causa di licenziamento ricorre quando il lavoratore attua condotte di gravità tale (dolose o colpose) da comprometterne l’idoneità e l’affidabilità per quanto concerne la prosecuzione del rapporto di lavoro.
I comportamenti del lavoratore idonei a pregiudicare il vincolo fiduciario sono sia quelli lesivi degli obblighi legali e contrattuali assunti nei confronti del datore di lavoro sia quelli posti in essere al di fuori del contesto lavorativo e che esulano dalle obbligazioni assunte nei confronti del datore di lavoro, ma che assumono carattere di profonda gravità o disvalore sociale.
Il licenziamento per giusta causa consente al datore di lavoro di interrompere, al termine del procedimento disciplinare, il rapporto di lavoro con effetto immediato, senza alcun onere di preavviso nei confronti del lavoratore e ciò anche in presenza di cause sospensive del rapporto di lavoro quali, per esempio, la malattia.
I Contratti Collettivi Nazionali e Territoriali, nell’apposita sezione dedicata alle sanzioni disciplinari, possono prevedere differenti tipologie di violazioni riconducibili alla giusta causa.
Il datore di lavoro, quindi, prima di adottare il provvedimento disciplinare dovrà verificare primariamente se i fatti accaduti, oggetto di contestazione, rientrano tra le cause previste dal contratto tra quelle riconducibili alla giusta causa.
In caso di impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, con il conseguente insorgere del contenzioso, spetta al Giudice di merito stabilire la gravità dei fatti posti in essere dal lavoratore, nonché la proporzionalità tra le circostanze addebitate e la sanzione irrogata dal datore di lavoro ai sensi dell’art. 2106, Codice Civile.
Nel compiere quest'ultima valutazione, l'Autorità Giudiziaria deve fare riferimento anche alla modalità con cui la contrattazione collettiva qualifica la mancanza del lavoratore posta a base del recesso, seppure non sia vincolante in quanto è da intendersi in termini esemplificativi e non tassativi.
Il licenziamento dovrà, in ogni caso, essere preceduto dalla contestazione disciplinare, secondo le vigenti disposizioni normative, e non potrà essere comminato in forme differenti da quella scritta.
È bene precisare che, anche in caso di licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro è tenuto al versamento del contributo di licenziamento, il cui ammontare, per l’anno 2022, è pari a 557,92 euro (41% di 1.360,77 euro) per ogni anno di lavoro svolto, fino ad un massimo di tre anni (in ogni caso, l’importo massimo del contributo è pari a 1.673,76 euro).
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