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L’art. 51 del TUIR disciplina la determinazione del reddito di lavoro dipendente ed all’interno di un tale contesto, con la presente circolare, cerchiamo di fornire la giusta collocazione dei cosiddetti buoni spesa che sempre più vengono utilizzati come strumento a corredo di un variegato welfare aziendale.
In particolare, il comma 3 del citato art. 51, TUIR, individua la soglia massima di non tassabilità dei fringe benefit corrisposti ai dipendenti la quale, attualmente, risulta essere pari a 258,23 euro per periodo d’imposta.
Abbiamo utilizzato l’avverbio attualmente in quanto per un lasso temporale circoscritto (anni 2020 e 2021), tale soglia massima era stata elevata a 516,46 euro dall’art. 112 del D.L. n. 104/2020.
Al fine di comprendere meglio la collocazione dei buoni spesa all’interno della disciplina che regolamenta la determinazione del reddito di lavoro dipendente, ripercorriamo quanto riportato al comma 1 dell’art. 51 del TUIR, dove troviamo l’esplicito riferimento che ci assiste nella determinazione di tale importo; quest’ultimo, infatti, “è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
Tuttavia, la lettura di tale disposizione deve essere combinata con quanto riportato nell’ultima parte del suo comma 3 che, definendo una deroga al principio generale poc’anzi espresso, testualmente recita: “non concorre a formare il reddito (di lavoro dipendente) il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a 258,23 euro; se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”.
A ben vedere, la deroga di cui sopra ci parla dei cosiddetti compensi in natura che, configurandosi come beni e servizi, non possono essere rappresentati da elargizioni monetarie.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate, con la sua Circolare n. 28 del 15 giugno 2016, ha avuto modo di chiarire che i titoli di legittimazione (comma 3-bis dell’art. 51, TUIR) connotati da un valore nominale oggettivo, seppure tali, non configurano denaro e, pertanto, possono essere ricompresi all’interno del concetto di compensi in natura.
Conseguentemente, anche i buoni spesa concessi ai lavoratori dipendenti possono configurarsi come fringe benefit che, se pur sommati agli altri compensi in natura eventualmente assegnati, restano compresi all’interno della soglia massima consentita (258,23 euro), non concorrendo alla formazione del reddito di lavoro dipendente.
Resta fermo il principio secondo il quale, qualora tale soglia economica fosse superata, l’intero valore del compenso in natura sconterebbe l’imposizione nella busta paga del dipendente.
Altra considerazione da fare con riferimento ai buoni spesa, riguarda il fatto che, assodato il loro inquadramento normativo all’interno del terzo comma dell’art. 51, TUIR, la specifica disposizione non contempla l’obbligo di procedere alla consegna degli stessi alla generalità dei dipendenti o a categorie di questi, pertanto sarà possibile erogarli anche solo ad un dipendente o a dipendenti non collegabili ad alcuna categoria, ritenendo, inoltre, ammissibile una differenziazione nel valore facciale da essi rappresentato.
Per ultimo, con riferimento ai documenti di legittimazione con i quali si devono assegnare tali buoni spesa, precisiamo che gli stessi potranno essere realizzati in formato cartaceo o elettronico e, oltre che riportare il valore nominale spendibile, non potranno essere utilizzati da persona diversa dal titolare né potranno essere ceduti a terzi o convertiti in denaro.