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La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 24388 del 24 giugno 2022, si è espressa in materia di caporalato nei casi di finto part time, configurandolo come sfruttamento del lavoro.
La controversia nasce dalla denuncia avanzata dai dipendenti di una società che, a seguito della sottoscrizione di un contratto part time, erano stati obbligati a rispettare l’orario del tempo pieno, senza fruire di ferie e permessi, percependo uno stipendio decurtato.
Lo sfruttamento dei dipendenti, a seguito delle verifiche della Guardia di Finanza, era peraltro avvenuto in forza dello stato di bisogno temporaneo in cui vertevano gli stessi. Infatti, i dipendenti si erano visti costretti ad accettare le condizioni imposte dal datore di lavoro per la necessità di mantenere un’occupazione, non esistendo, nel contesto in cui era maturata la vicenda, possibili reali alternative di lavoro.
Secondo la difesa non sarebbe applicabile la Legge anti caporalato poiché i rapporti di lavoro contestati dalla Guardia di Finanza si sarebbero instaurati in un periodo precedente all’estensione del reato ai datori di lavoro (4 novembre 2016).
I Giudici della quarta sezione penale della Suprema Corte hanno reso legittima l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 603-bis, Codice Penale, secondo cui: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:
Secondo il Collegio giudicante, la norma prevede che il reato si perfezioni attraverso modalità alternative che riguardano non solo l’assunzione, ma anche l’utilizzazione o l’impiego di manodopera. Per questo motivo non è corretto sostenere che ai fini della individuazione del momento perfezionativo del reato, debba aversi riguardo al solo dato primigenio dell’insorgenza del rapporto di lavoro (assunzione).
La lesione del bene giuridico protetto della norma permane finché perdura la condizione di sfruttamento e approfittamento e, quindi, come affermato dai Giudici: “a far data dal 4 novembre 2016 il datore di lavoro che assuma, impieghi o utilizzi manodopera nella ricorrenza dei presupposti descritti nel comma 1, n. 2) della citata norma, deve rispondere del reato di sfruttamento di manodopera”.
In merito al requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno, ai fini dell’integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non deve essere inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose.
Alla luce di quanto si evince dal testo della sentenza, quindi, a partire dal 4 novembre 2016 (data di operatività della Legge anti caporalato) il datore di lavoro risponde del reato di cui all’art. 603, Codice Penale, qualora ricorrano le seguenti condizioni: