L’argomento trattato sarà distinto in due parti: in una prima, si riporta la più recente evoluzione normativa relativa alle indicazioni necessarie per definire uno scarto di produzione come sottoprodotto e non un rifiuto; in una seconda, si inquadra il problema progettuale di un impianto biogas per quanto riguarda la potenza installabile, in relazione alla disponibilità di sottoprodotti durante l’intero periodo annuale.
Rifiuto o sottoprodotto?
Cos’è un sottoprodotto? Spesso il termine rimane un vero e proprio “mistero” per le aziende. Una chimera normativa che molte imprese, pur di rimanere all’oscuro di tutta la normativa ambientale e della gestione dei rifiuti/prodotti a fine vita, evitano.
Capita spesso di confrontarsi con realtà strutturate che avrebbero le opportunità normative e tutti i vantaggi economici ed ambientali per affrontare questo passaggio di gestione, eppure, non si riesce ad arrivare a una risposta positiva nel procedere per questa strada virtuosa.
Tutto ciò perché? Si propone una “breve” linea guida per comprendere cos’è un sottoprodotto e quali sono le caratteristiche che rendono il sottoprodotto una soluzione percorribile per i residui di produzione.
L’idea del presente contributo nasce dalla attuale situazione in Italia relativa alla non uniformità di interpretazione della norma che consente di alimentare impianti per la produzione di biogas con sottoprodotti di origine organica.
Tali discrasie hanno comportato sia nel passato, sia nel presente, distinti trattamenti nella procedura autorizzativa, come pure nei controlli successivi, portando a situazioni che hanno messo anche in forte crisi i singoli imprenditori che hanno investito in progetti a volte molto onerosi: ritardi, sospensioni e modifiche in corso dell’interpretazione delle norme possono comportare significativi danni di tipo economico-finanziario alla gestione, ad esempio, di un impianto per la valorizzazione energetica di un sottoprodotto agro-alimentare.
Nell’articolo presentato nella Rivista si indicheranno alcuni elementi normativi di riferimento in grado di porre chiarezza sulla differenza tra “rifiuto” e “sottoprodotto”.
In sintesi, si può iniziare la trattazione indicando che:
È un rifiuto «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi» (cfr. art. 183, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 152/2006 s.m.i.). |
Connessa alla nozione di rifiuto e complementare ad essa, è quella di sottoprodotto, di più recente introduzione, non essendo contemplata dalla disciplina precedentemente in vigore (D.Lgs. n. 22/1997).
Il Legislatore italiano si è ispirato, per quanto con una certa libertà, alla giurisprudenza comunitaria, introducendo originariamente all’art. 183, lett. n) del D.Lgs. n. 152/2006, la definizione di sottoprodotto, poi completamente rimodulata con modifiche successive.
Attualmente, la definizione è contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. qq) che recita:
È un sottoprodotto «qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all’art. 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all'articolo 184-bis, comma 2». |
A fini della trattazione, indubbiamente sarà descritto un recente riferimento normativo utile per porre alcuni elementi di opportunità per le aziende che hanno intenzione di valorizzare i sottoprodotti a fini energetici[1].
[1] Gli approfondimenti riportati nel presente contributo sono la sintesi di note di commento alle norme di Legge trattate dal dott. Bernardino Albertazzi (Giurista Ambientale) e dal Prof. Stefano Maglia (Diritto ambientale). Le note sono propedeutiche all’analisi della valorizzazione economiche dei sottoprodotti ottenuti da processi produttivi.
Segnaliamo che sarà possibile approfondire le problematiche trattate nel presente articolo nell'omonimo articolo del prof. Alessandro Ragazzoni pubblicato all'interno dell'articolo del numero 2 di Febbraio 2020 della Rivista ConsulenzaAgricola.
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