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Le figure del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale continuano a rappresentare un pilastro del diritto agrario, sia per le ricadute fiscali e previdenziali, sia per le implicazioni in tema di prelazione e di politiche agricole.
Ai fini fiscali i benefici sono indubbiamente rilevanti, pensiamo alla disciplina del compendio unico (D.Lgs 228/2001 art. 5 bis), della Piccola Proprietà Contadina (art. 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009), alle agevolazioni in materia di trasferimento di terreni agricoli ubicati nei territori montani (art. 1, comma 111, L. n. 197/2022), oltre alle agevolazioni in materia di IMU e redditi fondiari.
La tendenza del legislatore è sempre stata quella di muovere verso un progressivo allineamento delle due figure professionali, ma le modifiche normative attualmente in corso potrebbero invertire tale tendenza. Per questi motivi con la presente circolare intendo evidenziarne i caratteri distintivi per poi analizzarne i punti di contatto e le divergenze.
Caratteristica peculiare del coltivatore diretto (CD) è data dal fatto che lo stesso deve contribuire con il proprio lavoro (e quello del nucleo familiare) ad almeno un terzo del fabbisogno lavorativo aziendale. Inoltre, dall’abituale e manuale attività nell’impresa agricola deve ricavare il proprio reddito principale da lavoro. Diversamente l’imprenditore agricolo professionale (IAP), introdotto dall’art. 1 D.Lgs. 99/2004, deve possedere specifiche competenze professionali, dedicare alle attività agricole almeno la metà del proprio tempo di lavoro e ricavare da esse almeno la metà del proprio reddito (con riduzione al 25% nelle zone montane o svantaggiate ex art. 17 Reg. CE 1257/1999).
Questi requisiti sanciscono una distinzione concettuale: il CD si caratterizza per la prevalenza del lavoro manuale e familiare, mentre lo IAP si fonda su professionalità e capacità imprenditoriale. Questa distinzione potrebbe acuirsi ulteriormente anche per quanto concerne il parametro reddituale. Infatti, con il DDL semplificazioni, approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto scorso, è stata proposta una modifica all’art. 1 del D.Lgs. 99/2004, secondo cui per i primi cinque anni dalla presentazione dell’istanza di riconoscimento della qualifica di IAP (art. 5-ter) non sarebbe più necessario dimostrare il rispetto del parametro dei ricavi agricoli. Se confermata, tale innovazione renderebbe di fatto irrilevante il requisito reddituale ai fini delle agevolazioni fiscali, in quanto la perdita della qualifica di IAP comporta la decadenza dai benefici solo se avviene entro cinque anni dall’applicazione delle agevolazioni stesse (art. 1, comma 4, per le persone fisiche; art. 2, comma 2, per le società agricole).
La distinzione tra CD e IAP si riflette anche sotto il profilo previdenziale. Per il coltivatore diretto l’accertamento dei requisiti spetta all’INPS, l’iscrizione è obbligatoria (può avvenire anche d’ufficio) con il conseguente obbligo contributivo. Per l’imprenditore agricolo professionale la competenza è invece delle Regioni e lo IAP ha l’obbligo di iscrizione solo dopo il rilascio dell’attestazione (la cosiddetta “certificazione in assenza di requisiti”).
La differenza dell’iter amministrativo può determinare ricadute operative rilevanti: mentre l’iscrizione del CD è pressoché automatica e immediata, quella dello IAP richiede un percorso certificativo più articolato e nonostante sia demandato ad ogni singola Regione consente un riconoscimento che opera su tutto il territorio nazionale (art. 56-ter, L. 108/2021).
Un aspetto che merita particolare attenzione è quello della prelazione agraria, un istituto che sin dalla metà del secolo scorso è stato considerato strumento di tutela e di stabilizzazione della proprietà agricola, poiché in presenza di determinate condizioni consente di essere preferiti ad altri per l’acquisto di un fondo agricolo, a parità di prezzo, quando il proprietario decide di venderlo.
Il diritto di prelazione spetta in primo luogo al coltivatore diretto affittuario (art. 8, L. 590/1965) e successivamente è stato esteso al coltivatore diretto confinante (art. 7, L. 817/1971). Con il D.Lgs. n. 99/2004, art. 2, comma 3, il legislatore ha ampliato ulteriormente l’ambito soggettivo, consentendo anche alle società agricole di persone di esercitare la prelazione, purché almeno la metà dei soci possieda la qualifica di coltivatore diretto risultante dall’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese (artt. 2188 ss. c.c.). Un passo ulteriore è stato compiuto con la Legge 154/2016, che ha introdotto il comma 2-bis all’art. 7 della L. 817/1971, estendendo il diritto di prelazione anche agli imprenditori agricoli professionali confinanti (IAP).
Quest’ultimo intervento normativo conferma il progressivo avvicinamento delle due figure professionali, storicamente distinte, e rafforza la funzione della prelazione quale strumento di consolidamento aziendale.