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La Rivista | nº 06 Giugno 2020


Agire ora per non fermarsi per sempre

di Luciano Mattarelli, direttore responsabile

Mentre la fase acuta dell’emergenza sanitaria sembra ormai alle spalle, con il Paese che sembra approssimarsi ad una lentissima ma progressiva ripresa della vita ordinaria, ritengo sia opportuno fermarsi un attimo e provare a farsi alcune domande circa quello che è successo nei mesi scorsi.

Quasi tre mesi di lockdown assoluto, un sistema economico paralizzato, la necessità di dover bilanciare il bisogno di non fermare il motore del Paese con la salvaguardia del diritto alla salute dei suoi cittadini. Insomma, essere un governante ai tempi del COVID-19 non deve essere stata una vera e propria passeggiata.

Tuttavia, non serve avere una profonda esperienza e preparazione in materia di politica interna per capire che le cose non sono andate necessariamente “tutto bene” come suggeriva uno dei tanti striscioni colorati a mano dai bambini durante la quarantena.

Dalle conferenze stampa ai salotti televisivi: in questi mesi, decine e decine di soloni hanno cercato di abbindolare il popolo a colpi di frasi ad effetto, slogan male assortiti e promesse da marinaio, affermando tutto e il contrario di tutto. Incompetenza? Strategia? Quel che è certo è che l’italiano medio si è ormai assuefatto al caos totale che regna all’interno del sistema politico e delle stanze del potere nel nostro Paese.

Il problema, poi, è che, come recitava un vecchio proverbio, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, forse mai come in questo momento, la frattura tra teoria e pratica è stata percepita in maniera dirompente.

Conferenze stampa in diretta su Facebook in tarda serata per annunciare misure ancora inattuate a distanza di mesi, linee guida ai cittadini diverse da quelle date ai controllori, scelte miopi e superficiali spesso collegate ad una chiara volontà di acquisire consenso.

Già, perché, i morti, la disoccupazione, le crisi di interi settori economici, non sono problemi da risolvere per garantire la miglior vita possibile a tutti i cittadini, ma sono argomento da mettere in piazza per sminuire l’avversario politico, battagliando su chi ha fatto cosa e su chi avrebbe fatto meglio in un determinato contesto. Una sorta di “Bar Sport”, un tristissimo teatrino che quotidianamente va in scena sulla pelle degli italiani.

Quegli stessi italiani, oggi, attendono risposte concrete ai tanti problemi venutisi a creare negli ultimi mesi, mesi intrisi di promesse: agevolazioni qua, contributi là, reddito su, finanziamenti giù. Misure che, molto spesso, sono state insufficientemente regolamentate, con conseguenze paradossali: non di rado, infatti, si ascoltano storie di lavoratori indigenti, ai margini della povertà, ancora in attesa delle risorse necessarie per il cibo, mentre, al contrario, non mancano i casi di soggetti (anche ben avviati) che hanno potuto effettuare investimenti e spese straordinarie con i fondi pubblici, per non parlare del reddito di cittadinanza.

Una delle più discutibili scelte fatte dal Governo italiano negli ultimi mesi è stata quella di dare corda a politiche assistenzialistiche che rischiano di mettere a repentaglio il futuro del Paese. Nella logica propagandistica di cui si parlava, sicuramente promettere risorse a pioggia per ampie fette della popolazione è un’ottima idea: ma si può dire lo stesso per le sorti di una nazione? Ciò comporta un forte indebitamento delle già vuote casse statali, mentre vale poco per i percipienti, che vivono tale sforzo economico dello Stato come una regalia più utile a mantenere lo status quo che a produrre qualcosa.

Se l’emergenza coronavirus, infatti, rappresenta la più grossa crisi socioeconomica dal secondo dopoguerra, le differenze tra i due periodi storici sono profonde e drammatiche. Negli anni Cinquanta, infatti, dopo lunghi e strazianti anni di distruzione e di morte, c’era una nuova prospettiva di rinascita, l’idea di un futuro migliore, portato anche dall’intreccio di culture e di conoscenze che la contaminazione della guerra aveva portato in Italia, a bordo di carri armati tedeschi e aerei americani. Un forte spirito solidale, il desiderio di una vita migliore: insomma, la fine della guerra era un po’ l’alba della nuova era dove però agli Italiani veniva chiesto di rimboccarsi le maniche e non di aspettare finanziamenti e risorse.

Pensando ai giorni nostri, invece, lo scenario è davvero molto differente. Abbiamo lasciato un periodo storico di grande fiducia e libertà, che si è sgretolato tra le nostre mani nei mesi di clausura e videoconferenze, all’interno delle nostre (più o meno) confortevoli abitazioni. La lenta ripresa ci vede guardinghi e diffidenti verso il prossimo, che rappresenta il più pericoloso dei vettori virali, indifesi davanti ad un mondo che, solo in apparenza, assomiglia a quello che avevamo lasciato.

Per uscire da queste sabbie mobili, servirà una decisa sterzata, che dovrà toccare, prima degli altri, stili di vita ed economia del nostro Paese. La competenza, per tali materie, è del Governo che, in concerto con i vari enti sovranazionali, dovrà pompare nel sistema fiducia e risorse, al fine di fare ripartire la macchina. Per farlo, però, serviranno misure concrete, incentivi mirati per cittadini, professionisti ed aziende, sulla base di una concreta analisi dei bisogni. Misure che non devono essere soltanto di facciata, ma che dovranno intercettare le reali necessità degli operatori, che attendono da tempo risposte.

L’imprenditoria Italiana non ha eguali nel mondo e non va frenata da un’assurda burocrazia e da una politica incapace di gestire l’economia.

Il coronavirus ha dato una rapida accelerata al declino di un Paese che da anni ignora i suoi problemi, che cresce poco rispetto alla media europea, che vive al di sopra delle sue possibilità e che cela la sua decadenza dietro ad una selva di scuse e di capri espiatori.

Ora, però, l’Italia è ad un bivio. Può scegliere di rimboccarsi le maniche, tirare fuori la sua parte più pragmatica e creativa, provando a risorgere. Oppure la strada verso un declino scontato e inesorabile è appena stata imboccata.


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