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Gianrico Carofiglio, grande scrittore ed ex magistrato, ne “L’arte del dubbio” mette in evidenza che ottenere date risposte, piuttosto che altre, dipende in gran parte anche dal modo e dal contesto in cui le domande son poste.
La fase delle indagini è delicatissima. Occorre parlare non solo di regole, ma anche di deontologia della domanda, perché è nella fase delle indagini il momento in cui si può dare il primo imprinting alla memoria e alla narrazione della persona ascoltata.
È pacifico, per chi si occupa di psicologia della testimonianza, che domande fuorvianti possano creare non solo un resoconto non accurato, ma una vera e propria modifica del ricordo originale.
In ragione di ciò i tribunali di Common Law non accettano, come prova, testimonianze in cui si riscontri che un testimone è stato interrogato utilizzando metodi intimidatori o domande ingannevoli.
Ettore Randazzo, per molti anni responsabile nazionale delle Scuole dell’Unione Camere Penali Italiane, era solito ricordare il detto siciliano: “U’ fatto è nenti. È come si cunta!” E aggiungeva “… e a seconda di come si domanda!”.
La domanda, a seconda di come è posta, può avere risposte ben differenti.
È nota la storiella dei due frati fumatori.
Uno dei due chiede al Padre Superiore: “Padre, è possibile fumare mentre si prega?” Questi risponde severamente: “Assolutamente no! Ci mancherebbe altro; quando si prega non si fuma!”
Passa qualche giorno. L’altro frate va dal Superiore e gli chiede: “Padre, mentre fumo posso pregare?” La risposta è altrettanto ferma: “Ma certo, fratello, ogni momento è buono per pregare!”
Un esito differente solo perché più intelligente e strategica la domanda.