tr?id=945082922274138&ev=PageView&noscript=1 Economia circolare e agricoltura: un binomio virtuoso per la fertilizzazione organica dei terreni

La Rivista | nº 04 Aprile 2022


Economia circolare e agricoltura: un binomio virtuoso per la fertilizzazione organica dei terreni

di Alessandro Ragazzoni, docente di economia e estimo rurale

Nulla si crea, nulla si distrugge

Antoine-Laurent de Lavoisier

Incipit

Nell’attuale situazione socio-economica si stanno verificando una serie di coincidenze che preoccupano l'opportunità di una attività produttiva agro-zootecnica sostenibile: tra le principali, l’incremento demografico, l’aumento dei costi energetici ed ambientali, i livelli elevati di inquinamento e la scarsità delle risorse naturali fanno sì che sia necessario un nuovo modello economico di sviluppo, in cui le materie prime vengano prodotte attraverso tecniche che possano integrare anche in parte i principi dei sistemi biologici, dove tutto è funzionale e tutto si rigenera, senza generare scarto/rifiuto.

Valorizzazione sottoprodotti organici in agricoltura

Usare al meglio i nostri rifiuti è fondamentale. Riuscire a farli diventare fertilizzanti per l’agricoltura permetterebbe di affrontare due grandi temi legati al settore primario: quello della nutrizione delle colture e quello della sostenibilità ambientale dei sistemi e delle tecniche produttive.

In questo contesto si svilupperà il presente contributo, ponendo l’attenzione principalmente sugli aspetti economici.

Per quanto riguarda la tutela ambientale, l'interesse nel portare sul mercato fertilizzanti alternativi ai tradizionali è dovuto agli elevati consumi energetici collegati all’estrazione delle materie prime, ai processi chimico-fisici ed ai flussi di importazione. L'industria dei fertilizzanti è una delle più energivore: l’impiego di concimi minerali in agricoltura è causa di circa il 2,5% delle emissioni globali di gas clima-alteranti.

Questo interesse è stato anche promosso dagli effetti diretti e indiretti delle politiche messe in campo per sfruttare il potenziale del settore del riciclo dei rifiuti, per evidenziare i servizi eco-sistemici dell’agricoltura e per valorizzare economicamente i sottoprodotti e gli scarti organici negli attuali sistemi colturali.

I fertilizzanti e gli ammendanti organici sono prodotti che derivano da processi di trasformazione, definiti anche con il termine end of waste processes, di rifiuti o di matrici organiche.

Si tratta di composti eterogenei tra di loro, per caratteristiche e per provenienza, che derivano dal settore zootecnico e/o dal settore del riciclo dei rifiuti organici.

Tra i processi più efficienti, che consentono di trasformare questi materiali da rifiuti o sottoprodotti a fertilizzanti organici, vi è sicuramente la digestione anaerobica alla quale, poi, in certi casi segue, se necessario, il compostaggio. In tale contesto, gli effluenti zootecnici rappresentano la porzione principale della dieta degli impianti di digestione, integrati se necessari da sottoprodotti della filiera agroalimentare.

I vantaggi derivanti dall’applicazione di tali matrici dipendono però sempre dalle proprie caratteristiche chimiche e microbiologiche e da quelle chimico-organiche del suolo.

Il riutilizzo di queste matrici in campo agricolo consentirebbe un minor ricorso ai fertilizzanti di sintesi, riducendo allo stesso tempo anche gli impatti ambientali legati al consumo di materie prime vergini in un’ottica di economia circolare.

L’agricoltura sta attraversando una fase complessa dal punto di vista della redditività e della sostenibilità, a volte in antitesi. È necessario trovare una strada alternativa che permetta di migliorare sia l'aspetto agronomico, sia quello economico-produttivo delle aziende agricole.

Da un recente report sull’economia circolare, in Italia, nel 2019, rispetto al totale dei fertilizzanti distribuiti, la ripartizione è:

  • 41% (1,71 Mt) fertilizzanti minerali;
  • 31% (1,3 Mt) ammendanti;
  • 14% (0,6 Mt) fertilizzanti organici;
  • 14% elementi correttivi.

La Commissione Europea, al fine di stimolare la transizione verso una fertilizzazione più sostenibile, ha recentemente rivisto ed implementato l’impalcatura giuridico-legislativa a sostegno di questi nuovi materiali utilizzati per l’arricchimento dei terreni agricoli.

Questo perché, da una parte, i principi di economia circolare, di cui tanto si parla, spingono per l’utilizzo di materiali organici per la fertilizzazione in agricoltura ed il recupero di matrici organiche; dall’altra, l’attuale crisi di materie prime a livello globale impone di rivedere il sistema di approvvigionamento spingendo per una maggiore autosufficienza.

L’impiego di sottoprodotti e/o residui di natura organica rispetto alle risorse fossili può, da un lato, circoscrivere la domanda di queste ultime, dall’altro valorizzare gli scarti organici, garantendo un aumento della sostenibilità ambientale ed economica delle attività industriali da cui derivano e di quelle nelle quali vengono impiegate.

Pertanto, sarà fondamentale redigere piani di gestione integrata per la fertilizzazione delle colture attraverso l'utilizzazione degli effluenti zootecnici, di compost o di nuovi fertilizzanti organici.

L’adozione di approcci agronomici idonei, accompagnati da una parziale sostituzione dei concimi minerali, comporterà così progressivamente benefici per la fissazione e lo stoccaggio di carbonio organico nei terreni e per la riduzione delle emissioni di gas clima-alteranti in agricoltura.

La necessità è quella di dare risposte concrete alle sempre più crescenti esigenze di tutela ambientale e di risparmio economico per il settore agricolo. Una sfida complessa sia per gli agricoltori che per il mondo della produzione dei fertilizzanti; di seguito una sintetica rappresentazione dell’effetto sostitutivo di concimi chimici di sintesi con prodotti organici ed organo-minerali in Italia.

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Decreto Legge n. 21 del 21 marzo 2022

Il Decreto Legge 21 marzo 2022, n. 21 entrato in vigore il 22 marzo 2022 - recante misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina - ha stabilito all’art. 21 novità molto importanti in tema di digestato equiparato.

In particolare, la norma ha disposto che:

1. al fine di promuovere la diffusione di pratiche ecologiche nella fase di produzione del biogas e ridurre l’uso di fertilizzanti chimici, aumentare l’approvvigionamento di materia organica nei suoli e limitare i costi di produzione, i Piani di utilizzazione agronomica di cui all’articolo 5 del Decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 25 febbraio 2016, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 90 del 18 aprile 2016, prevedono la sostituzione dei fertilizzanti chimici di sintesi con il digestato equiparato di cui all’articolo 52, comma 2-bis, del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134, come modificato dal comma 2 del presente articolo;

2. all’articolo 52, comma 2-bis, del Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 134 del 2012, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: «Il digestato di cui al presente comma è considerato equiparato ai fertilizzanti di origine chimica quando è ottenuto dalla digestione anaerobica di sostanze e materiali da soli o in miscela fra loro, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 22 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 25 febbraio 2016, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 90 del 18 aprile 2016, impiegato secondo modalità a bassa emissività e ad alta efficienza di riciclo dei nutrienti e in conformità ai requisiti e alle caratteristiche definiti con il decreto di cui al terzo periodo del presente comma, per i prodotti ad azione sul suolo di origine chimica...».

La norma sul digestato equiparato inserita nel Decreto Legge 21 marzo 2022, n. 21 riconosce il valore fertilizzante, dando al settore agricolo uno strumento importante per contribuire alla transizione agroecologica, alla riduzione della dipendenza da fertilizzanti chimici di importazione e alla riduzione dell’impronta ambientale del settore primario.

La possibilità di sostituire i fertilizzanti chimici con un digestato agricolo utilizzato in modo ottimale, consente di ridurre i costi a carico delle molte aziende agricole già fortemente provate dalla crisi economica in corso, di tutelare la fertilità dei suoli e di favorire davvero l’economia circolare in agricoltura, su cui il settore biogas e biometano è impegnato da oltre un decennio. Si deve auspicare un’approvazione in tempi brevi del Decreto attuativo che dovrà disciplinare i dettagli applicativi che permetteranno alle aziende di utilizzare meno risorse, rendersi sempre più indipendenti dal punto di vista energetico e più sostenibili.

In pratica, il digestato può essere equiparato ai concimi chimici a patto che vengano rispettati alcuni aspetti operativi quali:

1. livello di efficienza di impiego maggiore dell’80% rispetto alle condizioni di utilizzo;

2. quota di azoto ammoniacale su azoto totale superiore al 70%;

3. distribuzione in campo con sistemi a bassa emissività e utilizzo di sistemi di tracciabilità della distribuzione con tecnologia GPS;

4. idonea copertura dei contenitori di stoccaggio e della frazione liquida ottenuta dalla separazione.

Il punto 3 riguarda in particolare sia le attrezzature di distribuzione del digestato, che deve essere distribuito in campo con sistemi in grado di interrarlo per un più efficiente uso agronomico, sia la cosiddetta tracciabilità, che ancora una volta richiama l’importanza dei sistemi di precisione geolocalizzati con antenna e display in cabina. Dunque, una distribuzione calibrata del digestato, rispetto alle richieste delle diverse colture in campo, con il soddisfacimento della richiesta di azoto, permette all’agricoltore di ridurre l’impiego di concimi chimici con significativi risparmi.

Per quanto riguarda le attrezzature, la distribuzione ideale del digestato è quella effettuata in corrispondenza della preparazione del terreno utilizzando erpici a ancore e dischi, oppure con lo strip-till (lavorazioni sulla fila). Queste sono le attrezzature che consentono la massima efficienza di utilizzo del digestato, come richiede la normativa al punto 1.

Esempi di mezzi e attrezzature per il corretto interramento del digestato

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La sostenibilità della fertilizzazione organica passa, però, attraverso la valorizzazione delle matrici impiegate, sia da un punto di vista economico che agronomico. Uno studio LCA recentissimo, pubblicato sulla rivista ACS Sustainable Chemistry & Engineering, ha confrontato le performance ambientali di una fertilizzazione minerale classica (NPK) e di una organica (attraverso l’applicazione di digestato) su un ettaro di mais.

Sul totale delle categorie d'impatto analizzate, lo scenario "organico" ha fatto registrare i risultati migliori. Soprattutto in virtù dei crediti maturati per la produzione di energia rinnovabile attraverso la digestione anaerobica. È significativo indicare una riduzione del 16% delle emissioni nella sola fase della produzione.

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Alcune riflessioni conclusive

Incentivare la costruzione e l’utilizzo di impianti di trattamento di matrici organiche per scopi energetici è indubbiamente decisivo per diminuire la dipendenza dall’approvvigionamento da altri Paesi; nel caso di impianti a digestione anaerobica deve, però, presupporre una valorizzazione agronomica ed economica del sottoprodotto che si viene a generare dal processo: il digestato.

Se il progetto non fonda le proprie basi su tale presupposto, si rischia di determinare un grave problema della logistica finale della distribuzione del digestato e della corretta utilizzazione agronomica. Una non corretta programmazione comporta che l’impiego del volume prodotto dall’impianto debba essere caricato e trasportato ad elevate distanze dalla cosiddetta “bocca dell’impianto biogas”, nel caso in cui non sia accettato dagli agricoltori limitrofi.

Se ciò si verificasse, cadrebbe il castello della sostenibilità costruito intorno agli incentivi erogati per la produzione di energia rinnovabile e alla fertilizzazione organica dei terreni agricoli.

In complesso, dunque, si sente la necessità di definire e di focalizzare principalmente il problema della gestione della sostanza organica in modo integrato a livello territoriale, dalla fase di produzione fino alla distribuzione, all’utilizzo ed alla eventuale trasformazione in biogas ed in energia. Pertanto, un sistema integrato di gestione deve proporsi di raggiungere alcuni importanti obiettivi, in relazione alle fasi che caratterizzano l’intero processo di produzione, di stoccaggio, di trattamento, di trasformazione e di impiego dei reflui agro-zootecnici.

Sembra più conveniente per l'imprenditore agro-zootecnico partecipare attivamente alla realizzazione della filiera, integrandosi come partner, nella costruzione dell’impianto di fermentazione e non solo come “produttore” della materia prima organica. Infatti, in questo ultimo caso, diventano necessarie forme di integrazione quali accordi di fornitura di medio-lungo periodo sia relativamente ai quantitativi sia per quanto riguarda il prezzo minimo garantito.

Entrando nello specifico del flusso di input/output di un impianto di digestione, si possono descrivere le principali fasi che lo caratterizzano che tra loro devono essere propedeutiche e integrate per poterle definire circolari:

  • Fase A: produzione di biomassa: i reflui zootecnici e le matrici organiche di scarto dei processi produttivi devono essere opportunamente preparati per il processo di fermentazione: prima dell’ingresso nell’impianto si procede ad una omogeneizzazione dei sottoprodotti, per miscelare reflui e matrici vegetali.
  • Fase B: produzione di energia: dalla fermentazione e dal processo di digestione si produce il biogas, che opportunamente trattato e purificato viene utilizzato come combustibile per un motore endotermico che produce energia elettrica (poi messa in rete e incentivata con la tariffa omnicomprensiva) e calore. È ovviamente la fase determinante dell’intera filiera.
  • Fase C: produzione di digestato: questo momento è sicuramente delicato. Ogni impianto di biogas produce un sottoprodotto residuale finale (il digestato) che deve essere opportunamente distribuito sui terreni agricoli ed ha un contenuto di azoto pari a quello in ingresso nel digestore. I volumi stessi durante l’intero processo non si riducono in modo sensibile e, pertanto, il problema di spandimento è significativo. In questo caso è meglio separare il sottoprodotto, in modo tale da avere l'opportunità di portare all'esterno dell'azienda la fase solida più facilmente trasportabile e mantenere la fase liquida per la fertirrigazione.

Fasi di gestione “CIRCOLARE” della matrice organica in un impianto di biogas

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In conclusione, si possono desumere alcune condizioni che in fase progettuale possono essere strategiche per raggiungere un sicuro risultato economico positivo dell’impianto:

1. l’imprenditore gestisce in modo pressoché autonomo l'approvvigionamento della materia prima, la trasformazione, la produzione di energia e la gestione finale del digestato;

2. l'impianto è dimensionato in relazione alla disponibilità effettiva di matrice organica per un periodo medio-lungo e non viceversa; infatti, è alquanto rischioso impostare la filiera ponendo come costante la potenza e, poi, in un secondo momento, cercare di reperire nel territorio rurale i sottoprodotti;

3. la “dieta” deve innanzitutto valorizzare i sottoprodotti organici e, in primis, i reflui zootecnici; nel caso in cui il volume annuale e le caratteristiche stesse dei sottoprodotti non consentano un limite minimo di potenza per un corretto dimensionamento dell'impianto, si può pensare di arricchire la dieta di input recuperati dalla filiera agroalimentare;

4. la disponibilità dei terreni per lo spandimento finale del digestato deve essere sufficiente per adempiere ai limiti della “direttiva nitrati” (D.M. 07/04/2006); se questa condizione non sussiste, si incorre in un deciso incremento dei costi di trasporto del digestato al di fuori dell'azienda, che si ricorda non ha ridotto il carico di azoto, anzi può essere peggiorato rispetto ai reflui tal quale. Nel caso nella dieta sia presente anche una quota di altri sottoprodotti non aziendali, la logistica e la distribuzione parzializzata e a distanze ragguardevoli dall’impianto di produzione energetica determinerebbero un impatto ambientale considerevole, vanificando gli effetti circolari di recupero degli scarti organici per la produzione di energia rinnovabile.

 

 

 


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