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Il dumping contrattuale è un fenomeno che si fonda sulla incontrollata proliferazione dei contratti collettivi nazionali che, nel corso degli anni, ha portato all’indebolimento del mercato del lavoro e della produzione del Paese. Più nello specifico, nella sua applicazione al mondo del lavoro, con questo concetto si richiama l’insieme di tutte quelle pratiche attraverso le quali si tenta una riduzione del costo del lavoro, ricorrendo a forme contrattuali sempre più economiche e permissive.
Questo fenomeno viene anche conosciuto come “contrattazione pirata”, in quanto questi contratti riportano spesso condizioni non eque per i lavoratori di un medesimo comparto produttivo, attuando comportamenti discriminatori soprattutto nei confronti di quei soggetti caratterizzati da scarsa capacità negoziale e contrattuale, i quali sono portati ad accettare condizioni economiche retributive inferiori a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva.
Il Legislatore e gli organi ispettivi hanno tentato di reprimere tali comportamenti, con particolare attenzione ai casi in cui questo fenomeno ha condotto alla lesione dei diritti costituzionalmente tutelati del lavoratore, quali: una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, il rispetto della durata massima della giornata lavorativa, il diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, il tutto ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.
Tali aspetti, come anticipato, sono numerosi e tra essi vengono sottolineati, come principali, i seguenti: