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In materia di contaminazioni, sussistono problematiche di attuale rilevanza per il settore biologico, tra le quali, ad esempio, la corretta gestione dei residui di fosfiti. In effetti, negli ultimi anni la presenza di residui di fosfiti negli ortaggi, nella frutta e nei vini biologici è divenuta una problematica frequente, le cui cause risultano in alcuni casi ancora non del tutto chiarite. È un problema che coinvolge diversi attori operanti nel settore del biologico e, in alcuni casi, genera rilevanti problematiche di tipo commerciale.
Dal 2013 i fosfonati non sono più approvati per l’utilizzo in agricoltura biologica e di conseguenza nessuno di questi principi attivi può essere utilizzato nelle produzioni biologiche. Tuttavia alcuni fosfiti, come ad esempio il Fosetyl-Al[1], sono presenti nella normativa europea sui mezzi tecnici per la protezione delle piante. Il Fosetyl-Al e l’acido fosfonico sono principi attivi approvati nell’UE che rientrano nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 396/2005[2]. La ripetuta rilevazione di residui di fosfiti in alcuni prodotti biologici è stato ed è tutt’ora un problema rilevante non solo in Italia, ma anche in diversi Paesi europei, in quanto non rientrano tra i mezzi tecnici consentiti dal Reg. (UE) 2021/1165[3], che identifica i prodotti e le sostanze il cui utilizzo è ammesso in agricoltura biologica.
L’approccio differenziato dell’Italia per quanto riguarda la presenza di tali residui nei prodotti biologici si è manifestato già a partire dal 2016, quando l’allora Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha finanziato il progetto biennale BIOFOSF “Strumenti per la risoluzione dell’emergenza fosfiti nei prodotti ortofrutticoli biologici”[4], coordinato dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi dell’economia agraria), i cui risultati finali sono stati presentati a Norimberga in occasione del BIOFACH 2018.