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La Rivista | nº 04 Aprile 2023

Niente rivoluzione agricola senza prima una riforma fiscale

di Luciano Mattarelli, direttore responsabile

La terza rivoluzione agricola, detta anche rivoluzione verde, è alle porte e l’obiettivo degli agricoltori è uno solo: la ricerca costante di soluzioni per l’incremento delle produzioni.

Il primo a parlare di incremento di produzioni fu lo statunitense Norman Borlaug, premio Nobel per la pace del 1970, che a metà del 1900 si rese protagonista della selezione di nuove varietà di piante utili per dare una risposta alle richieste di cibo che venivano dalle aree del paese a forte rischio carestia.

Nasce così quella che oggi viene definita green revolution, incentrata sull’esigenza sempre più forte di trovare una risposta alle necessità di una popolazione mondiale in rapida crescita. La strategia da attuare prevede l’aumento della produzione diminuendo il consumo di risorse naturali come l’acqua e il suolo.

Nel corso degli anni l’agricoltura è stata investita da tecnologie e soluzioni che hanno consentito un aumento dei raccolti, grazie a nuove colture, all’utilizzo di fertilizzanti e alla meccanizzazione delle attività agricole. Tuttavia, molte di queste soluzioni si sono rivelate dannose per l’ambiente (come nel caso dell’utilizzo di fertilizzanti o antiparassitari).

In passato, infatti, la ricerca di ibridi selezionati per avere determinate caratteristiche (longevità, crescita e produttività, aspetto) ha portato alla coltivazione di pochissime varietà di sementi con una conseguente perdita di biodiversità.

Inoltre, le sementi geneticamente modificate sono state brevettate e vendute insieme a specifici erbicidi, fertilizzanti e macchine agricole, sviluppando in questo modo un rapporto di dipendenza degli agricoltori nei confronti delle multinazionali che li producevano.

E così, piccole realtà agricole e i contadini, non potendo competere con le rese delle sementi industriali, finirono per perdere la loro terra in favore di grandi aziende agricole che applicarono i principi della rivoluzione verde su larga scala.

Non è di certo questo il concetto di rivoluzione verde a cui oggi si fa riferimento che, invece, si incardina sulla necessità, sempre più incombente, di incrementare la produzione nel pieno rispetto dell’ambiente.

Per questo motivo, ad oggi, è necessario che la rivoluzione verde proceda di pari passo con la transizione ecologica, che è diventato uno dei modelli chiave per la sostenibilità. In quest’ottica si dovrà ricorrere sempre meno ai combustibili fossili o ai materiali di derivazione petrolchimica a favore delle energie rinnovabili e ai principi dell’economia circolare.

A sostegno di questa rivoluzione verde oggi ci sono anche i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, istituiti proprio a fronte delle necessità che l’Europa ha. La Missione 2 del PNRR è dedicata proprio alla “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, dove la transizione ecologica è considerata come “uno dei pilastri del progetto Next Generation EU” e costituisce “una direttrice imprescindibile dello sviluppo futuro”.

La Missione 2 del PNRR mette complessivamente a disposizione investimenti per 69,94 miliardi di euro, di cui 6,47 riguardano agricoltura sostenibile ed economia circolare.

Questi fondi, messi a disposizione dall’UE e dall’Italia, risulteranno efficaci se impiegati non come sussidi fini a sé stessi, ma come incentivi per migliorare la qualità della vita di tutti, garantendo un reddito proficuo agli imprenditori.

Il tema della redditività non può passare in secondo piano e non bisogna dimenticare che, se l’agricoltura deve essere il settore di lancio della rivoluzione verde, il Legislatore dovrebbe preoccuparsi di garantire agli imprenditori agricoli un panorama di norme civilistiche e fiscali che tenga conto dell’agricoltura del futuro.

Non si può pensare, infatti, di introdurre metodi di coltivazione innovativi e maggiormente industrializzati avendo una disciplina fiscale ancora strettamente legata ai metodi tradizionali di coltivazione e completamente slegata dalle norme civilistiche.

Si pensi, ad esempio, alla produzione di energie rinnovabili e alla cessione dei certificati verdi[1]; senza una chiara norma che inquadri tali attività, e ne disciplini la relativa tassazione, gli imprenditori agricoli si troverebbero ad investire in nuovi business senza conoscerne la corretta imposizione fiscale, rischiando così contestazioni da parte del Fisco.

Si pensi inoltre al solo fatto di continuare a legiferare utilizzando vocaboli del tipo “volume d’affari” al posto di “corrispettivo”, insinuando così l’esclusione di tutti gli allevatori dai finanziamenti sul fotovoltaico in quanto i loro ricavi sono principalmente legati ai compensi di soccida che non determinano nessun volume d’affari, ma solo corrispettivi.

Vero è che dalla bozza di legge delega sulla riforma fiscale emergono i primi segnali di cambiamento. Infatti, per quanto riguarda i redditi agrari, vi è l’intento di applicare il regime di imposizione catastale alle attività di coltivazione esercitate su superfici prive di rendita catastale, rendendo possibile lo sviluppo di un nuovo modello agricolo, parallelo e complementare a quello tradizionale, con il quale si potranno migliorare le produzioni, soprattutto vegetali.

Nella bozza del documento vi è poi l’intento di ricondurre alla rendita catastale anche quei redditi relativi a beni materiali ed immateriali che concorrono alla tutela dell’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici, riconoscendo l’importanza dell’attività agricola per la tutela dell’ambiente e del paesaggio.

Alla luce di quanto sin ora detto, è evidente che la vera rivoluzione verde avrà inizio fuori dai terreni agricoli, nelle sedi del Governo che dovrà modificare l’attuale normativa civilistica e fiscale del settore agricolo.

 

 

[1]              In senso lato.






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