La Peste sta letteralmente schiacciando l’economia suinicola del nord. Oltre la provincia pavese adesso sono in blocco anche parti di quella piacentina e milanese. I 9 focolai e qualche carcassa infetta rinvenuta nei territori limitrofi hanno prodotto una serie di misure restrittive che stanno penalizzando l’allevamento, tant’è che qualcuno ha deciso di smantellare. Ma c’è un unico modo per uscire da questa malattia: misure severe e programmi chiari. La Sardegna dovrebbe insegnarci qualcosa e soprattutto che convivere con la peste non conviene.

Mentre la Sardegna preannuncia la fine dell’incubo della Peste suina africana, (sierotipo 1, diverso da quello del continente che è il 2), scoppiata nell’isola una cinquantina di anni fa, la situazione sul nostro territorio (ma anche in tutto il vasto continente euro-asiatico) rimane molto critica. Per cui la domanda sulla convivenza col virus, considerata la nostra produzione ed i mercati a cui si rivolge, ci fa dire che la malattia perenne sarebbe un colpo mortale alla nostra suinicoltura.

Nel nostro Paese la vigilanza rimane giocoforza ai massimi livelli, l’emergenza è ben lungi dal finire ma gli allevatori sono innegabilmente in difficoltà a causa delle stringenti regole di movimentazione. Per di più in questi giorni le zone si sono allargate alle province di Piacenza e Milano. Nel frattempo gli animali bloccati dalle restrizioni aumentano di peso ed alcuni di coloro che hanno abbattuto gli animali (o con la minaccia di abbattimenti) non sarebbero più nelle condizioni di ripartire. Però al momento non c’è altro modo di fermare il virus ed eradicarlo, se non bloccare qualsiasi movimento di animali (ma anche di materiali) che potrebbero essere potenzialmente infetti perché allevati vicino ai focolai in un raggio potenzialmente molto pericoloso.