La montagna ha partorito il topolino

di Luciano Mattarelli, direttore responsabile

Nella seduta del 28 febbraio scorso il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva il Disegno di Legge n. 931 recante disposizioni per la promozione e lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile nel settore agricolo.

Il D.D.L. è stato presentato alla Camera il 9 gennaio dal deputato Carloni e altri, con l’obiettivo dichiarato di «introdurre un sistema organico di norme interne che, ad integrazione delle norme europee, dimostrino il concreto interesse dello Stato italiano in favore dell’imprenditoria giovani agricola».

La relazione di accompagnamento compie un’analisi approfondita sulle difficoltà del ricambio generazionale in agricoltura, constatando che nel 2020 solo il 13,4% dei titolari d’impresa ha meno di 44 anni, dato in notevole calo rispetto a dieci anni precedenti (17,6%). Tengono abbastanza le imprese under 35, che passano, nel 2022, dal 7,3% al 7,6%, comunque molto al di sotto della media europea (11% circa). Descrive poi con lucidità il quadro dell’imprenditoria giovanile in agricoltura. Nel 2021 sono nate in Italia mediamente 18 imprese agricole al giorno per iniziativa di un giovane e, secondo gli ultimi dati dell’Eurostat, la reddittività per ettaro delle aziende il cui titolare è un giovane under 35 è notevolmente maggiore rispetto a quelle condotte da soggetti di età superiore ai 55 anni (4.964 euro/ettaro contro 3.546 euro/ettari). Rileva poi che tra i dieci obiettivi strategici trasversali tracciati a livello europeo per la nuova PAC quello cui sono destinate minori risorse riguarda proprio il ricambio generazionale, a cui il PSP italiano riserva soltanto l’1% dei fondi a disposizione.

Si ammette poi che, nel complesso, i giovani imprenditori agricoli sono competenti, interconnessi, aperti all’innovazione e pronti ad operare in conformità agli obiettivi del Green Deal europeo. Oggi i giovani imprenditori agricoli sanno che, per poter affrontare le sfide del mercato e quelle legate alla salvaguardia dell’ambiente, l‘impresa ha bisogno di investire sul proprio sviluppo attraverso le strutture e l’innovazione. La produzione energetica da fonti rinnovabili risulta di particolare interesse per i giovani, soprattutto perché riduce la variabilità delle proprie entrate a fronte dell’oscillazione dei ricavi dovuta all’andamento dei prezzi e alle calamità naturali.

Nonostante l’interesse dei consumatori per i prodotti di qualità, tipici e locali dell’agricoltura nostrana nonché dei servizi legati a tali produzioni, come l’agriturismo, l’inserimento dei giovani nel settore agricolo continua a presentare molti ostacoli. Secondo i proponenti, la vera sfida che l’Unione Europea deve affrontare è quella di convincere un numero crescente di giovani ad avviare un’attività agricola e di incoraggiare il ricambio generazionale.

I punti critici delle attuali politiche europee e nazionali sono rappresentati dal fatto che l’insieme delle misure esistenti non sono sufficienti per affrontare le principali barriere all’ingresso nell’agricoltura come l’accesso alla terra e ai capitali finanziari. A ciò si aggiungono i problemi legati alla successione nell’azienda e alle incertezze sul futuro per i diritti patrimoniali che la legge riserva, comunque, ai coeredi e che quasi mai è possibile prevenire.

Da un sondaggio della Commissione Europea il bisogno più importante è rappresentato dalla disponibilità della terra. Tra le numerose barriere che incontrano i nostri giovani ci sono gli elevati prezzi della terra, i costi iniziali di impianto, le difficoltà legate all’accesso al credito nonché una legislazione e oneri amministrativi complessi e farraginosi.

Ebbene, da una così lucida analisi dei problemi che ostacolano la diffusione dell’imprenditoria giovanile in agricoltura ci si doveva attendere dal parlamento l’introduzione di misure efficaci che, per usare le stesse parole dei proponenti, permettano ai giovani non solo l’insediamento, ma anche la permanenza nell’agricoltura in modo sostenibile.

Dobbiamo ammettere che anche stavolta la speranza è andata delusa.

Partendo dal promesso sistema organico di norme dobbiamo rilevare (art. 2) che il provvedimento introduce nel nostro ordinamento ulteriori definizioni di imprenditore agricolo, le quali, se pur prese dalla normativa europea, mal si conciliano con la normativa interna in materia di sussidi ed agevolazioni, improntate sulle figure professionali del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale iscritti nelle rispettive gestioni previdenziali. Si avrà pertanto un disallineamento tra soggetti agevolati dalla nuova Legge e, ad esempio, quelli ammessi a usufruire dei contributi del secondo pilastro della PAC oppure che possono accedere alle agevolazioni fiscali per l’acquisto di terreni (c.d. PPC). In sostanza, un pasticcio.

Tuttavia, l’effetto più deleterio si ottiene con l’uso di queste nuove definizioni nell’ambito normativo sul diritto di prelazione agraria, ove si introducono diritti di priorità a favore di soggetti che non hanno i requisiti richiesti per l’esercizio di tale diritto. In tal modo, con l’abolizione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 228/2001, si sostituisce un criterio tutto sommato razionale, ancorché imperfetto, con il nulla.

Non si comprende poi l’attrattiva dei benefici fiscali concessi ai giovani, soprattutto in materia di imposizione sul reddito. Nel settore agricolo l’imposizione diretta è senza dubbio l’ultimo dei problemi dell’imprenditore agricolo, potendo esso usufruire di sistemi forfettari fortemente agevolati. Pertanto, la possibilità concessa ai giovani di assolvere l’IRPEF o l’IRES con un’imposta sostitutiva del 12,5% sul reddito d’impresa determinato analiticamente relativamente alle attività agricole che lo consentono (allevamenti eccedentari, attività connesse, agroenergie, ecc.) è limitata a pochi soggetti, prevalentemente società di capitali.

Risibile è poi la dotazione del fondo per l’acquisto di terreni, di strutture per l’avvio dell’attività imprenditoriale e l’acquisto di beni strumentali: appena 15 milioni di euro da ripartire tra 19 regioni e due province autonome, vale a dire due o tre interventi per entità territoriale.

In conclusione, la nuova Legge sull’imprenditoria giovanile in agricoltura è tutto il contrario di un intervento organico di grande respiro, e si palesa assolutamente inadeguata a supportare i giovani che vogliano investire il loro futuro in questo settore.

Ci sovviene il paragone della montagna che partorisce un topolino.

Come ha correttamente rilevato la relazione di accompagnamento, la direzione giusta è una doppia via. La prima è normativa, cioè un complesso organico di norme che duri nel tempo e che, esemplificando, garantisca effettivamente la “successione agraria” nell’azienda (e non dei soli terreni) e il relativo diritto di riscatto (anche dopo il compimento del 40° anno di età), riduca i costi di accesso alla terra (ad esempio, con un credito d’imposta sui canoni d’affitto), conceda un accesso prioritario su tutti i finanziamenti per gli investimenti in agricoltura, compresi quelli sull’agrivoltaico e il parco solare. L’altra via è quella del supporto economico, con risorse adeguate agli obiettivi, ad esempio per l’acquisto dell’azienda di famiglia, un fondo di garanzia per i mutui e prestiti aziendali, la copertura del rischio di perdita del prodotto per calamità, ecc.

Insomma, se è un pubblico interesse che i giovani permangano in agricoltura, ci vogliono normative coraggiose e risorse proporzionate agli obiettivi. Perché, come si dice anche in economia, “non si fanno nozze con i fichi secchi”.






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