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Il datore di lavoro non può recedere dal contratto di lavoro con il dipendente, in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, prima che sia decorso un periodo di tempo (c.d. comporto) stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità. La disposizione, posta a tutela del lavoratore malato, che si assenta per potersi curare adeguatamente, è conforme ai precetti costituzionali che definiscono la salute come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività.
Questa tutela, tuttavia, deve essere contemperata con l’interesse del datore di lavoro alla continuità della prestazione lavorativa. Il punto di equilibrio, fra l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenza e quello dell’impresa di non doversi fare carico a tempo indefinito del pregiudizio che l’assenza cagiona all’organizzazione aziendale, trova attuazione attraverso il “periodo di comporto”.
Questo istituto è rappresentato dal totale delle assenze per malattia effettuate da un lavoratore in un determinato arco temporale, definito dalla legge o dai contratti collettivi con indicazione del tetto massimo di dette assenze. Nel caso di superamento, viene meno il diritto del dipendente alla conservazione del posto di lavoro.