Il “periodo di comporto” nel “Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i lavoratori dipendenti delle cooperative e consorzi agricoli”

di Gualtiero Roveda, avvocato (*)

Il datore di lavoro non può recedere dal contratto di lavoro con il dipendente, in caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, prima che sia decorso un periodo di tempo (c.d. comporto) stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità. La disposizione, posta a tutela del lavoratore malato, che si assenta per potersi curare adeguatamente, è conforme ai precetti costituzionali che definiscono la salute come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività.

Questa tutela, tuttavia, deve essere contemperata con l’interesse del datore di lavoro alla continuità della prestazione lavorativa. Il punto di equilibrio, fra l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenza e quello dell’impresa di non doversi fare carico a tempo indefinito del pregiudizio che l’assenza cagiona all’organizzazione aziendale, trova attuazione attraverso il “periodo di comporto”.

Questo istituto è rappresentato dal totale delle assenze per malattia effettuate da un lavoratore in un determinato arco temporale, definito dalla legge o dai contratti collettivi con indicazione del tetto massimo di dette assenze. Nel caso di superamento, viene meno il diritto del dipendente alla conservazione del posto di lavoro.

Per visionare il contenuto devi avere un abbonamento attivo


Sei già abbonato?






SCOPRI TUTTI GLI ARTICOLI DELLA RIVISTA

Please publish modules in offcanvas position.