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Come noto, lo stato di comunione cessa con la divisione. Con tale contratto i contitolari di un diritto esistente su un determinato bene sciolgono, quindi, lo stato di comunione esistente tra di essi.
Trattasi, come chiarito dalla Suprema Corte, di un negozio di natura dichiarativa (con effetto retroattivo), dal momento che con esso i condividenti si limitano a trasformare l’oggetto del diritto di ciascuno, dà diritto sulla quota ideale a diritto su un bene determinato, senza che intervenga, tra loro, alcun atto di cessione o di alienazione (Cassazione, sentenza 25 ottobre 2005, n. 20645).
Ai fini fiscali, ed in particolare per quanto concerne l’imposta di registro, la divisione è disciplinata dall’art. 34 del D.P.R n. 131/1986 il quale, ai comma 1 e 2, stabilisce i criteri per determinare la c.d. massa comune, distinguendo tra comunione derivante da successione mortis causa (ereditaria) e comunione derivante da titolo diverso (ordinaria): nel primo caso, la massa da dividere è costituita dal valore, riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto, mentre nella seconda ipotesi, la massa comune è costituita dai beni risultanti dal precedente atto che abbia scontato l'imposta dei trasferimenti.