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Con la Circolare n. 12/E dell’8 agosto scorso, l’Agenzia delle Entrate ha posto fine a uno dei dilemmi più delicati emersi con l’ultima riforma fiscale in agricoltura: la corretta qualificazione tributaria delle coltivazioni tradizionali realizzate in serre accatastate come D/10.
Un dettaglio che, almeno sulla carta, poteva sembrare tecnico e di nicchia, ma che nella realtà aveva generato tensioni concrete e timori diffusi all’interno del mondo florovivaistico, già sottoposto a una profonda trasformazione normativa.
La riforma, entrata in vigore il 1° gennaio 2024, non è stata infatti un semplice aggiustamento di regole: ha segnato un cambio di paradigma. Per la prima volta si è riconosciuto che anche ai fini fiscali l’agricoltura non si identifica più solo con quelle coltivazioni che utilizzano la terra come substrato di produzione, ma può svilupparsi anche attraverso metodi innovativi e spazi alternativi. Da un lato, quindi, è stato ampliato il concetto di reddito agrario includendo le coltivazioni cosiddette “fuori suolo”; dall’altro, con l’aggiunta della lett. b-bis) al 2° comma dell’art. 32 TUIR, si è aperta la porta alla possibilità di esercitare attività agricole anche in immobili registrati in diverse categorie catastali (C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10).