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Basta con la mentalità del contributo: investire da imprenditori, non da eredi

di Luciano Mattarelli, direttore responsabile

L’agricoltura italiana è fatta di persone straordinarie: lavoratori instancabili, custodi del territorio, capaci di affrontare la fatica, il caldo, il freddo, la burocrazia e le calamità naturali con una dignità che meriterebbe ben altra considerazione.

Sono le formichine del sistema produttivo, quelle che non si lamentano, che si alzano presto, che non hanno tempo per i salotti televisivi. Eppure, proprio queste formichine, così attente e laboriose, rischiano di rovinarsi con scelte imprenditoriali scellerate. Perché?

Perché troppo spesso si investe non per necessità, non per strategia, non per crescita, ma perché “ci sono i contributi”.

Il contributo non è una strategia

Questa mentalità, purtroppo diffusa, è figlia di un sistema che ha abituato gli imprenditori agricoli a pensare che l’investimento sia conveniente solo se “qualcuno” contribuisce a pagarlo. Ma il contributo, il credito d’imposta, il finanziamento agevolato non sono una strategia. Sono, al massimo, un’opportunità. E come tutte le opportunità, vanno valutate, ponderate, inserite in un piano d’impresa. Non possono essere il motore delle scelte.

Investire perché “ci sono i soldi” è come comprare un trattore perché è in offerta, senza sapere se serve davvero, se si ammortizza, se si integra nel ciclo produttivo. È una logica che porta a scelte sbilanciate, a indebitamenti inutili, a immobilizzazioni che non generano valore.

La politica dei numeri: il business plan prima del trattore

Un investimento, per essere tale, deve partire dai numeri. Dai conti. Dalla liquidità disponibile. Dalla capacità di generare reddito. Dalla sostenibilità fiscale. Non si può pensare di acquistare un macchinario da 200.000 euro solo perché c’è un credito d’imposta del 40%. Perché quel macchinario va pagato subito, mentre il credito si sconta nel tempo. E per scontarlo, bisogna avere imposte da pagare. Se l’azienda non genera utili o costi previdenziali, quel credito resta lì, inutilizzabile. E intanto il debito contratto per acquistare il bene pesa sul bilancio aziendale.

La politica dei numeri impone una riflessione seria: il business plan deve quadrare. Non si può più ragionare con la logica del “poi vediamo”. Serve una pianificazione precisa, una valutazione dei flussi di cassa, una proiezione dei costi e dei ricavi. Serve, in altre parole, come dice il Prof. Frascarelli, stare meno seduti sul trattore e più con la penna in mano.

Il paradosso dell’agricoltore moderno: tecnologico ma vulnerabile

Negli ultimi anni, grazie ai piani industria 4.0 e Transizione 5.0, migliaia di imprese agricole hanno investito in tecnologie avanzate: sensoristica, automazione, software, macchinari intelligenti. È stato un salto importante, che ha migliorato l’efficienza e la sostenibilità. Ma è stato anche un salto spesso guidato dai contributi, non dalla strategia.

Il risultato? Aziende ipertecnologiche ma vulnerabili. Con bilanci appesantiti, con crediti d’imposta non utilizzabili, con mutui da pagare e liquidità insufficiente. Aziende che hanno investito “perché c’erano i soldi”, ma che non hanno fatto i conti con la realtà: i soldi vanno anticipati, i contributi non sono garantiti, le norme cambiano, le compensazioni vengono cancellate.

La cancellazione delle compensazioni: il risveglio amaro

La bozza della Legge di Bilancio 2026 ha previsto, con l’articolo 26, il divieto di compensare i crediti d’imposta derivanti agli investimenti in beni strumentali con i contributi previdenziali e assistenziali. Una norma che, se confermata, avrà un impatto devastante sul settore agricolo. Perché proprio in agricoltura, la compensazione è spesso l’unico modo per utilizzare quei crediti, vista la specificità dei regimi fiscali.

Ma al di là della norma, il punto è un altro: non si può investire contando su strumenti che non sono certi. Non si può mettere a rischio l’azienda, il lavoro, la storia familiare, solo perché “dovrebbero arrivare i soldi”. Se i soldi non arrivano, se le regole cambiano, se le compensazioni vengono vietate, l’impresa resta esposta. E il danno è enorme.

Il vero vantaggio dei contributi: chi lo incassa davvero?

C’è poi un altro aspetto da considerare, spesso ignorato: il vero vantaggio dei contributi non è sempre dell’imprenditore. Anzi, spesso è di chi vende i beni oggetto del contributo. Quando si sa che c’è un credito d’imposta del 50%, il prezzo del bene tende a salire. Il mercato si adegua. Il venditore sa che l’acquirente è incentivato, e quindi può permettersi di alzare il prezzo. Il risultato? L’imprenditore paga di più, anticipa liquidità, si indebita, e il beneficio reale si riduce.

In molti casi, il contributo non fa crescere l’imprenditore. Lo rende dipendente. Lo illude. Lo spinge a fare scelte che non avrebbe fatto in assenza dell’incentivo. E questo non è sviluppo: è distorsione.

Contributi e ignoranza imprenditoriale

Parliamoci chiaro: i contributi, se non accompagnati da formazione, da consulenza, da cultura imprenditoriale, non fanno crescere. Anzi, contribuiscono a mantenere l’ignoranza. Perché si investe senza sapere, si compra senza valutare, si pianifica senza numeri. E quando il sistema cambia, quando il credito non si può più usare, quando il contributo tarda ad arrivare, l’imprenditore resta solo, impreparato, esposto.

Serve un cambio di mentalità. Serve una nuova cultura. Serve capire che l’impresa si costruisce con i conti, non con le promesse. Che il trattore va comprato se serve, non perché è incentivato. Che il credito d’imposta è utile solo se si può scontare. Che la redditività e la liquidità sono  i primi “beni” da tutelare.

Scegliere i consulenti giusti: una scelta strategica

Per fare tutto questo, però, non basta la buona volontà. Serve anche saper scegliere i consulenti giusti. Non quelli che promettono contributi facili o scorciatoie pericolose. Ma quelli che hanno una preparazione solida, una visione d’impresa, un’etica professionale. Consulenti che non hanno fini personali o interessi di filiera, ma che mettono al centro la crescita dell’azienda e la dignità dell’imprenditore.

Un buon consulente non ti dice solo “puoi fare questo investimento”, ma ti chiede: “Ti conviene davvero? Hai la liquidità? Hai fatto i conti? Hai valutato i rischi?”. Un buon consulente ti aiuta a vivere del tuo lavoro, non dei contributi. Ti accompagna nelle scelte, ti protegge dagli errori, ti aiuta a costruire un’impresa solida, autonoma, capace di stare in piedi anche senza stampelle.

Basta con il “si è sempre fatto così”

Il mondo è cambiato. L’agricoltura è cambiata. I mercati sono globali, le regole sono complesse, la concorrenza è spietata. Continuare a fare le scelte “perché il babbo faceva così” o “perché il nonno faceva così” non è più possibile. È una forma di rispetto malinteso, che rischia di distruggere ciò che quelle generazioni hanno costruito.

Essere imprenditori oggi significa avere il coraggio di cambiare, di innovare, di pianificare. Significa sapere dire no a un investimento che non sta in piedi, anche se è incentivato. Significa proteggere l’azienda, il lavoro, la famiglia, con scelte consapevoli.

Conclusione: investire con la testa, non con il cuore

Questo editoriale non vuole demonizzare i contributi. Vuole solo ricordare che non sono la soluzione. Sono, al massimo, un supporto. Ma il motore dell’impresa deve essere la testa, non il cuore. I numeri, non le emozioni. La strategia, non l’abitudine.

L’agricoltura italiana ha tutte le carte in regola per crescere, innovare, competere. Ma deve farlo con consapevolezza. Con cultura. Con pianificazione. Con imprenditorialità. E soprattutto con l’aiuto di consulenti preparati, indipendenti, che non vivono di contributi ma di competenza, e che hanno come unico obiettivo la crescita dell’azienda e la tutela della dignità dell’imprenditore.

Perché il vero progresso non nasce dai contributi, ma dalla capacità di vivere del proprio lavoro. E solo chi investe con la testa può costruire un futuro solido. Solo chi ragiona da imprenditore può evitare di rovinarsi con scelte sbagliate. E solo chi sceglie i giusti alleati può affrontare le sfide del domani con lucidità, forza e visione.






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