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Secondo l’uso corrente, l’attività di catering (dall’inglese “to cater” cioè ristorazione) consiste nella somministrazione di alimenti e bevande presso la sede (o domicilio) del consumatore. In genere si tratta di pasti già preparati (solitamente da un ristorante o da una ditta apposita) e che sono distribuiti a favore di determinate collettività (enti pubblici o privati) come anche consegnati direttamente al privato secondo le sue specifiche richieste. È, pertanto, un’attività legata, come si rileva dalla traduzione, alla “ristorazione”.
L’attività di somministrazione di alimenti e bevande è, fra l’altro, regolamentata dalla Legge n. 287/1991, così come modificata dal D.Lgs. n. 59/2010, dove all’art. 1, comma 1, dispone che “per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto” che si esplicita in “… tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”.
Ai fini fiscali, ed in particolare dell’IVA, la somministrazione di alimenti e bevande, rientra nella previsione di cui al D.P.R. n. 633/1972, art. 3, comma 2, n. 4, quale prestazione di servizi, ed è, quindi, soggetta all’aliquota del 10% (Tabella A, parte III, allegata al medesimo decreto). È necessario però, affinché si tratti di somministrazione di alimenti e bevande e come tale sia riconducibile alle prestazioni di servizi, che l’attività svolta sia del tutto diversa da quella che generalmente riguarda la commercializzazione dei beni che ricorre invece nel caso della vendita in chioschi di ristorazione o nei cinema, dove i pasti caldi sono standardizzati. In tal senso la Corte di Giustizia europea (Sentenza 10 marzo 2011, cause riunite C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09) ha puntualizzato che le attività di catering costituiscono prestazioni di servizi ad esclusione del caso in cui un operatore si limiti a fornire piatti pronti standardizzati senza altri elementi supplementari di prestazione di servizi, poiché questo presuppone una “cessione di beni” a cui si applica l’aliquota IVA corrispondente.
Conformemente, l’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 107/E/1998) intervenendo in merito alle aliquote applicabili alle cessioni dei “piatti da asporto”, cioè quelli consumati al momento, ha chiarito che “stante la relativa natura composita (minestre, zuppe, paste alimentari cotte, con carne e senza carne, etc.) l’aliquota IVA applicabile deve di volta in volta essere individuata a seconda delle componenti che costituiscono i pasti stessi e che qualificano la preparazione alimentare consentendo di individuarne la relativa classifica doganale e la eventuale corrispondente voce della Tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972.”
Così delineata la materia, ci si chiede se l’attività di catering, effettuata da un’azienda agrituristica fuori dalla propria sede aziendale e diretta non solo alla produzione ma anche alla somministrazione presso il consumatore di cibi e bevande rientri nel normale esercizio dell’attività agricola.