Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
Secondo un consolidato orientamento della Cassazione. (Cassazione, sentenza n.12853 del 12 luglio 2004). La cessione di un immobile di proprietà di coniugi in regime di comunione legale dei beni e utilizzato per l’esercizio dell’impresa individuale di uno di essi è soggetta ad IVA: tale soggezione è assorbente rispetto a quella ad imposta di registro, in quanto, dal punto di vista tributario, la cessione non è un atto plurimo avente ad oggetto singole quote di comune proprietà valutabili separatamente in dipendenza della natura dei soggetti proprietari, ma un atto unitario, rilevante oggettivamente come atto d’impresa”.
Sostenendo che la cessione di un bene aziendale, in comunione legale tra coniugi, di cui uno solo è imprenditore, va intesa, ai fini IVA, come una operazione “unitaria” la Suprema Corte aveva, altresì, rilevato che “qualora non si applicasse l’imposta di registro in misura fissa, nelle stesse dimensioni di generalità proprie dell’assoggettamento della cessione all’IVA, si determinerebbe altresì l’incongrua conseguenza che il terzo acquirente verrebbe al contempo a rivestire, “di fronte ad un atto per lui unico ed economicamente inscindibile, la qualità di contribuente inciso dall’IVA e di condebitore solidale della normale imposta di registro pro quota” (Cassazione, sentenze n. 9036 del 1997, n. 3433 del 1996).
Sempre sul tema, i giudici di legittimità osservarono che “In tema di IVA, l’imposta pagata sull’acquisto di un immobile da parte di un soggetto nell’esercizio di attività d’impresa è detraibile anche nel caso in cui il contribuente si trovi in regime di comunione legale con il coniuge non imprenditore né esercente arti o professioni, trattandosi di un bene che, indipendentemente dal consenso dell’altro coniuge all’acquisto, è destinato a cadere in comunione soltanto al momento dello scioglimento della stessa, con la conseguenza che l’atto, dal punto di vista tributario, si configura non già come negozio plurimo avente ad oggetto singole quote di proprietà comune, ma come negozio unitario, rilevante appunto come atto d’impresa” (Cassazione, sentenza n. 10608 del 9 maggio 2007).
Anche la Corte di Giustizia Europea ha affrontato il problema con la sentenza, in causa C-25/03, del 21 aprile 2005 richiamando la sesta direttiva dei Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, dove al punto 3) è detto che “nel caso in cui due coniugi in comunione di fatto per effetto del matrimonio acquistino un bene di investimento, una porzione del quale venga utilizzata a fini professionali in modo esclusivo da uno dei due coniugi comproprietari, quest’ultimo beneficia del diritto alla deduzione dell’intero importo dell’imposta sul valore aggiunto a monte gravante sulla porzione del bene dal medesimo utilizzato ai fini della propria impresa, sempre che l’importo dedotto non ecceda i limiti della sua quota di comproprietà nel bene medesimo”.