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L’Agenzia delle Entrate, riprendendo la Sentenza 158/2020 della Corte Costituzionale, ha posto fine alla dibattuta questione dell’interpretazione dell’art. 20, in materia di imposta di registro, rispondendo all’Interpello 371 del 17 settembre 2020.
L’Interpello posto all’Agenzia delle Entrate tratta il caso di un’operazione posta in essere nell’ambito di una delle procedure di composizione della crisi di impresa, ossia un conferimento di ramo d'azienda, seguito dalla cessione della partecipazione nella società conferitaria.
Secondo l’Ufficio, sulla base di quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella Sentenza 158/2020, tale operazione non può essere tassata alla stregua di una cessione d’azienda, sulla base delle disposizioni dell’art. 20 del D.P.R. 131/1986, così come modificato dalla Legge di Bilancio 2018.
Per fare un breve riepilogo, ricordiamo che in passato l’Agenzia ha emesso numerosi avvisi di liquidazione in cui, ai sensi dell’art. 20 del TUR, le cessioni di partecipazioni effettuate in società beneficiarie di precedenti conferimenti di azienda venivano riqualificate in cessioni di azienda, applicando l’imposta di registro in misura proporzionale in luogo di quella fissa.
Tale modus operandi, in sede di contenzioso tributario, veniva quasi sempre confermato dalla Cassazione che ha sposato un’interpretazione estensiva del suddetto articolo 20, confermando gli avvisi di liquidazione degli Uffici.
A risoluzione della questione è intervenuto il Legislatore con la Legge di Bilancio 2018, chiarendo l’ambito applicativo dell’articolo 20, restringendone l’analisi interpretativa agli effetti giuridici del singolo atto sottoposto a registrazione (e non di quelli extra testuali e degli atti ad esso collegati) e, con l’art. 1, comma 1084 della Legge di Bilancio 2019, ha attribuito a tale interpretazione efficacia retroattiva.
In ultima istanza è intervenuta la Corte Costituzionale, interpellata dalla Cassazione per chiarire la legittimità del “nuovo” articolo 20, confermando che “l’articolo 20 può essere applicato solo in relazione al singolo atto sottoposto a registrazione” (Sentenza 158/2020).
Tornando al caso analizzato dall’Agenzia delle Entrate in sede di Interpello, l’Ufficio, alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale, ha ritenuto superato il quesito del contribuente sulle modalità di applicazione dell'art. 20 del TUR, relativo all'interpretazione degli atti, da un lato e/o dell'art. 10-bis L. 212/2000, relativo all'abuso del diritto, dall'altro.
Considerando che, in base all'art. 10-bis, gli elementi distintivi della disciplina dell'abuso del diritto sono:
l’Agenzia delle Entrate non ha riscontrato la presenza dei suddetti elementi caratterizzanti l’abuso del diritto, in quanto l’operazione non ravvede la presenza di un vantaggio fiscale indebito.
L'Amministrazione, infatti, sostiene che “il vantaggio fiscale dato dalla differenza tra l'imposta di registro in misura fissa, applicabile alle due operazioni, rispetto all'imposta di registro in misura proporzionale, applicabile nel caso di cessione di azienda, non risulta indebito, non contrastando con i principi che presiedono la tassazione proporzionale, ai fini dell'imposta di registro, delle cessioni d'azienda di cui all'art. 23 del TUR”.
L’Interpello si conclude stabilendo che l’operazione prospettata dal contribuente non è riqualificabile ai sensi dell'art. 20 del TUR e non rappresenta una fattispecie di abuso del diritto ex art. 10-bis L. 212/2000, pertanto, sconterà l'imposta di registro in misura fissa.
Un principio di civiltà giuridica imporrebbe che la stessa impostazione debba essere applicata anche per gli avvisi di liquidazione emessi ai sensi dell’articolo 20 del registro, e contestati dai contribuenti.
Se così fosse, si aprirebbero due possibilità per l’Agenzia delle Entrate: