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La crisi epidemiologica dovuta alla diffusione del virus COVID-19 ha avuto forti ripercussioni in materia di contratti di locazione ad uso commerciale.
Di fronte alla difficoltà del conduttore di provvedere al regolare pagamento dei canoni di affitto, molti locatori hanno infatti adito l’Autorità giudiziaria, domandando la convalida di sfratto per morosità.
Recentemente, il Tribunale di Venezia, con l’Ordinanza 30 settembre-2 ottobre 2020, n. 5480, ha tuttavia respinto la domanda attorea, volta all’ottenimento della risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore, per non aver quest’ultimo pagato i canoni entro le scadenze pattuite.
A sostegno della propria decisione, il Giudice di merito ha precisato come la necessità di far fronte alle disposizioni nazionali e regionali per contrastare e prevenire la diffusione del virus COVID-19, abbia determinato l’impossibilità sopravvenuta, seppure parziale, della prestazione del locatore, per colpa a lui non imputabile.
Detto in altri e più chiari termini, per un fatto imprevedibile, eccezionale e sopravvenuto, il locatore si è trovato nell’impossibilità di poter garantire al conduttore il libero godimento dell’immobile locatogli.
Ne deriva che, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1464 c.c., il conduttore abbia diritto di recedere dal contratto per giusta causa o di domandare un’equa riduzione del canone di locazione, limitatamente al periodo di mancato o parziale godimento dell’immobile oggetto di locazione.
In questo caso non può pertanto ravvisarsi un inadempimento contrattuale del debitore di gravità tale da giustificare la risoluzione del negozio giuridico, con contestuale domanda di rilascio dell’immobile locato.
A ciò si aggiunga come il locatore, che in pendenza del periodo di lockdown disposto a livello nazionale, abbia intimato convalida di sfratto per morosità, venga meno al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. che impone di salvaguardare i rapporti contrattuali già instaurati.
Dello stesso tenore del Giudice veneziano è quello di Catania che, con l’Ordinanza del 30 luglio 2020, sulla scia di quanto disposto dall’art. 91, primo comma, del D.L. n. 18/2020 (c.d. Decreto “Cura Italia”), ha precisato come nel valutare la gravità dell’inadempimento del debitore, comportante la risoluzione del contratto, occorra tenere in debita considerazione pure le misure di contenimento adottate dal Governo per contrastare e prevenire la pandemia.
La decisione del Tribunale di Catania assume rilevanza in quanto specifica come le predette misure di contenimento alla diffusione del virus epidemiologico COVID-19 debbano essere valutate non solo al fine di escludere eventuali profili di responsabilità ex artt. 1218 e 1223 c.c., ma anche per l’accertamento circa la gravità dell’inadempimento.
Del resto, non sarebbe coerente con lo scopo della norma del Decreto Cura Italia sopra citata ritenere che, pur andando il debitore esente da responsabilità, debba essere accolta la domanda di risoluzione del contratto per essere il mancato o tardivo pagamento dei canoni di locazione, quantunque dovuto a fatti eccezionali ed imprevedibili quali quelli legati alla diffusione del COVID-19, considerato grave inadempimento contrattuale.
Ciò chiarito, occorre infine precisare come tale orientamento giurisprudenziale valga anche per le locazioni ad uso abitativo. Sul punto, il Tribunale di Roma, con la recente Ordinanza del 28 agosto 2020, n. 15903, ha infatti precisato come non vada accolta la domanda di sfratto per morosità intimata nei confronti di un conduttore che, posto in cassa integrazione durante il periodo di lockdown a seguito del diffondersi sul territorio nazionale della grave crisi sanitaria da COVID-19, non sia riuscito a pagare entro le scadenze fissate i canoni, per aver l’INPS ritardato nell’erogargli il contributo dovuto.
In conclusione, non sempre il mancato o tardivo pagamento dei canoni di locazione costituisce valido motivo per ottenere una convalida di sfratto per morosità, essendo sempre necessario valutare le circostanze del caso concreto e l’eventuale sussistenza di fatti eccezionali e sopravvenuti, che rendano temporaneamente impossibile per una delle parti adempiere alla propria prestazione.
Stefania Avoni, avvocato