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A seguito di precisazione intervenuta con la Circolare n. 1/E del 22 gennaio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha risolto una questione molto dibattuta con i giudici di legittimità, affermando che l’affrancamento operato tramite rivalutazione su un terreno successivamente ceduto ad un valore inferiore alla perizia, ha valore ai fini del calcolo della plusvalenza.
Pertanto, non trova più applicazione, in tali casi, la determinazione, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, della plusvalenza basata sul “costo storico” di acquisto del bene.
Questa previsione torna quanto mai utile in un periodo come questo che, a seguito della nuova Legge di Bilancio 2021, ha riaperto la procedura di affrancamento dei valori dei terreni detenuti alla data del 1° gennaio 2021, da persone fisiche, società semplici, enti non commerciali e soggetti non residenti, privi di stabile organizzazione nello Stato, che operano al di fuori del regime d’impresa.
Come noto, infatti, i commi 1122 e 1123 della Legge n. 178/2020 hanno ripreso le precedenti discipline che consentivano di rivalutare terreni (edificabili e non) e quote di partecipazioni non quotate previo pagamento di un’imposta sostitutiva pari all’11% calcolata sulla base di una perizia asseverata da presentare entro il 30 giugno 2021 (cfr. nostra circolare n. 23 del 12 gennaio 2021).
Logicamente, il perpetuarsi negli anni di disposizioni rivalutative dei beni, con particolare riferimento ai terreni (edificabili e non), ha fatto sì che le perizie effettuate in passato risultassero, in molti casi, eccessive in ordine al valore attribuito agli stessi, in quanto la forte crisi economica mondiale ha determinato la riduzione delle corrispondenti quotazioni di mercato.
Spesso accade che un’area venga ceduta ad un prezzo inferiore al valore peritato a suo tempo e, sino ad oggi, poteva accadere che l’Amministrazione Finanziaria non considerasse il valore asseverato ai fini della determinazione dell’eventuale plusvalore, bensì, ipotizzando l’irrilevanza della perizia, calcolasse la plusvalenza sulla differenza tra il corrispettivo ottenuto ed il “costo storico” caricato precedentemente a bilancio.
Consideriamo, inoltre, che effettuare una nuova perizia (al ribasso) non sempre poteva risultare conveniente al contribuente, in quanto le disposizioni rivalutative spesso determinavano imposte sostitutive in costante crescita.
Per tali ragioni, una definitiva presa di posizione da parte dell’Agenzia delle Entrate risultava quanto mai opportuna, inoltre, la Corte di Cassazione già in precedenza aveva affermato il principio, ora sottoscritto anche dall’Amministrazione Finanziaria, secondo il quale viene previsto che se l’affrancamento è stato validamente operato, risulta impossibile risalire al precedente valore di carico del bene, anche se il maggior valore periziato non è riportato in atto o è indicato un valore commerciale minore.
Detta circostanza non comporta, di per sé, un recupero a tassazione della plusvalenza da parte dell’Agenzia delle Entrate, in quanto il valore rideterminato risultante dalla perizia costituisce il valore normale minimo di riferimento ai sensi del comma 6 dell’articolo 7 della Legge 448/2001 e consente al Fisco di riscuotere l'imposta sostitutiva. A seguito di ciò, è stato chiesto agli Uffici di abbandonare il contenzioso in essere, uniformandosi alla posizione dei giudici di legittimità.
La Cassazione precisa, inoltre, che, l’Amministrazione Finanziaria potrà accertare la maggiore plusvalenza, partendo dal valore storico, solo qualora la stessa dimostri che il valore risultante in perizia non corrisponde a quello effettivo del cespite.
Al contribuente, tuttavia, è consentito di inserire nell’atto un valore diverso da quello asseverato dal perito, al fine di neutralizzare del tutto i rischi di eventuali accertamenti e/o rettifiche da parte dell’Amministrazione Finanziaria e di “documentare” le mutate condizioni per cui nell’atto di cessione si indica un valore inferiore rispetto a quello della perizia.
La documentazione da produrre in tale caso sarà una “nuova perizia” dalla quale risulti il valore “inferiore” rispetto quello peritato in precedenza.
Logicamente, una tale situazione comporta, in capo al contribuente, la necessità di proporre di fatto una “nuova” rivalutazione del valore del terreno, a fronte della quale dovrà corrispondere una “nuova” imposta sostitutiva di diverso importo.
L’Agenzia delle Entrate, con sua Risoluzione n. 111/2010 aveva già ammesso la possibilità di effettuare un’ulteriore rideterminazione del costo fiscale di un terreno anche qualora la nuova perizia avesse indicato un valore inferiore a quello precedentemente stimato. In tale fattispecie, inoltre, veniva prevista la possibilità di richiedere a rimborso l’imposta sostitutiva già versata con la precedente rivalutazione.
Lo stesso principio viene nuovamente confermato dalla Circolare n. 47 del 24 ottobre 2011, dove l’Agenzia delle Entrate chiarisce che il contribuente non è tenuto al versamento delle rate ancora pendenti della precedente procedura di rideterminazione e detrae l'imposta già versata dall'imposta dovuta per effetto della nuova rideterminazione. L'imposta in tal modo calcolata può essere ripartita in tre rate di pari importo.
Sebbene l’esempio riportato nella Circolare n. 47/2011 riguardasse un incremento dell’imposta sostitutiva dovuta a seguito della seconda perizia, riteniamo che lo stesso esempio dovrebbe riformularsi nel caso inverso e cioè laddove l’imposta sostitutiva, dovuta a seguito della seconda rideterminazione, risulti inferiore alla prima.
Pertanto avremo:
il contribuente potrà sospendere il pagamento della terza rata da 3.300 euro e versare tre rate costanti come di seguito determinate:
Nel caso, invece, il contribuente avesse già versato l’intera imposta sostitutiva richiesta a seguito della prima perizia presentata, ricordiamo che, secondo quanto riportato nella Circolare n. 20/E del 18 maggio 2016, lo stesso soggetto potrà operare due scelte alternative:
Dagli esempi sopra riportati (che riteniamo essere corretti) è intuitivo propendere per il versamento rateale dell’imposta sostitutiva rispetto a quello in unica soluzione, in tempi in cui il valore dei beni oggetto di rivalutazione tende a subire repentine riduzioni.