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Secondo i Giudici della Cassazione, l’imprenditore agricolo professionale (IAP) non può godere delle agevolazioni in materia di ICI (ora IMU) in relazione alle aree edificabili coltivate e condotte, quando le stesse sono ubicate in una Regione diversa da quella che ha concesso il riconoscimento della qualifica IAP.
Infatti, secondo l’interpretazione dei Giudici, dato che ai sensi del comma 2, art. 1, del D.Lgs. 99/2004, l’accertamento della qualifica di IAP è demandato alle singole Regioni, tale qualifica non vale anche nelle altre Regioni (Cass. 12852/2021).
Ad un imprenditore agricolo professionale, residente in Sicilia, veniva contestato l’omesso versamento dell’ICI relativamente a terreni con vocazione edificatoria, da egli stesso condotti per l’esercizio delle attività agricole, ubicati nella Regione Campania. Il ricorso del contribuente è giunto ai Giudici di legittimità dopo che era stato rigettato l’appello con il quale lo stesso aveva richiesto l’applicazione della disposizione di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 504/1992, in base alla quale, ai fini ICI, non si considerano edificabili, pur se utilizzabili a scopo edificatorio, quelle aree sulle quali persiste un’utilizzazione agro-silvo-pastorale da parte di coltivatori diretti (CD) o imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti alla previdenza agricola (norma attualmente in vigore anche per l’IMU - comma 741 della Legge 160/2019).
Al contribuente veniva quindi contestata l’impossibilità di applicare tale agevolazione in quanto la sua qualifica IAP era stata concessa dalla Regione Sicilia, la quale può avere efficacia solo nel territorio della Regione competente ad accertare tale qualifica.
Tale interpretazione pone quindi una distinzione nell’applicazione dell’agevolazione a seconda che il soggetto passivo dell’imposta comunale, iscritto alla gestione previdenziale agricola, sia un coltivatore diretto o un imprenditore agricolo professionale.
Infatti, la definizione di coltivatore diretto è contenuta in norme di carattere speciale, in base alle quali l’elemento caratteristico è la diretta e abituale coltivazione del fondo. Secondo i Giudici, il fatto che lo IAP possa dedicare almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito non implica lo stesso rapporto con il terreno del CD, ma ne fa una “figura moderna di imprenditore del settore agricolo, che riveste un ruolo dirigenziale e non meramente esecutivo e manuale”.
A parere di chi scrive, nel caso di specie, l’importanza dell’elemento del lavoro manuale evidenziata dai Giudici, se poteva restrittivamente intendersi dalla lettura della norma del 1992 ove l’agevolazione era concessa ai “coltivatori diretti imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale” nella versione della disposizione riproposta dalla disciplina successiva pare non avere alcun peso.
L’attuale versione, infatti, è così formulata: “sono considerati, tuttavia, non fabbricabili, i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del Decreto Legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola, comprese le società agricole di cui all'articolo 1, comma 3, del citato Decreto Legislativo n. 99 del 2004, sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all'allevamento di animali”.
In relazione alla non applicabilità della qualifica IAP oltre i confini regionali, secondo gli ermellini, il fatto che competa ad ogni singola Regione l’accertamento dei requisiti previsti dal D.Lgs. 99/2004 tra i quali vi sono sia quelli delle conoscenze e competenze, da definire anche “in funzione delle caratteristiche del proprio territorio”, sia quelli del tempo e del reddito, comporta che il riconoscimento non possa valere al di fuori dei confini regionali.
Su tale aspetto, tuttavia, occorre rilevare che una tale lettura della norma appare estremamente penalizzante. Si ritiene più coerente che l’attività di accertamento dei suddetti requisiti sia stata demandata alle Regioni perché le stesse possano materialmente accertare se effettivamente l’imprenditore (generalmente residente e operante su quell’unico territorio) risponde a quanto richiesto dalla norma. Ma la valutazione che la singola Regione effettua sull’imprenditore non si limita ad accertare le attività svolte dallo stesso entro i limiti della Regione. Sono quindi verificati tutti i terreni condotti sul territorio nazionale ed il rapporto tempo/reddito sulle attività complessivamente svolte dal soggetto.
A nostro parere, tale lettura appare confermata dal combinato disposto dai commi 1 e 2 dell’articolo 1 del D.Lgs. 99/2004 ove viene detto che:
Quindi il potere delle Regioni è quello di accertare i requisiti, ma la qualifica riconosciuta si applica a livello nazionale.
La lettura dei Giudici di legittimità pare anche allontanarsi dal percorso che il Legislatore ha inteso avviare per l’ammodernamento del settore agricolo.
La lettura delle norme sull’imprenditore agricolo offerta dai Giudici di legittimità, estremamente restrittiva, pare confliggere con l’intento del Legislatore che, vent’anni fa, ha inteso avviare un percorso con cui traghettare l’agricoltura al nuovo millennio, ridefinendo prima la figura dell’imprenditore agricolo tramite il D.Lgs. n. 228/2001 che ha riscritto l’art. 2135 c.c., poi con il D.Lgs. n. 99/2004 con cui è stata definita la figura dell’Imprenditore agricolo professionale: qualifica che può essere da quest’ultimo estesa anche alle società.
Le imprese italiane, specie quelle agricole, sono da sempre caratterizzate da una estrema frammentazione e caratterizzate da una gestione familiare. Tale peculiarità ha generato fin dal dopoguerra una disciplina agevolativa volta principalmente alla figura dell’imprenditore lavoratore manuale della terra, ovvero il cosiddetto “coltivatore diretto”. A questa figura erano riservate particolari tutele in materia di affitti, edilizia, fin anche per aspetti fiscali. La ratio delle agevolazioni e delle semplificazioni riservate a questa figura era data dal fatto che al coltivatore diretto è richiesto di dedicarsi “direttamente ed abitualmente alla coltivazione del fondo, con lavoro proprio o della sua famiglia”.
Il Legislatore, consapevole del fatto che un’agricoltura moderna richiede anche una evoluzione dei soggetti che esercitano tali attività, è intervenuto progressivamente consentendo di avvicinare la figura dello IAP a quella del coltivatore diretto.
A titolo esemplificativo, tra gli interventi che il Legislatore ha posto in essere a seguito della riforma vi è stata l’equiparazione nell’agevolazione sull’acquisto di terreni agricoli e poi, nel 2016, con l’acquisizione del diritto di prelazione in caso di vendita di terreni confinanti (Legge n. 154/2016). Con il comma 515 dell’art. 1 della Legge Finanziaria 27 dicembre 2017, n. 205, è stato equiparato l’imprenditore agricolo professionale (IAP) al coltivatore diretto nella normativa che disciplina l’affitto di fondi rustici (Legge 03/05/1982 n. 203) e, prima o poi, dovrà essere anche colmato il vuoto normativo che non permette di riconoscere allo IAP del diritto di prelazione sull’acquisto del fondo condotto in affitto, atteso che al medesimo IAP è stato già riconosciuto il diritto di prelazione sui fondi confinanti.
Il settore agricolo, per il quale il Legislatore ha più volte introdotto delle disposizioni volte alla semplificazione degli adempimenti, a distanza di anni dalla loro introduzione, pare invece subire in modo distorsivo tale intento.
Solamente nell’ultimo periodo, questo settore, tra i più produttivi della nostra economia, che nonostante il periodo pandemico ha continuato a garantire la fornitura delle materie prime per il mercato agroalimentare, si è visto “recapitare” dalla giurisprudenza due giudizi poco rassicuranti, che vanno a minare attività e comportamenti che si ritenevano ormai consolidati: