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La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 25533 del 21 settembre 2021, si è espressa in tema di IVA sui buoni acquisto consegnati ai clienti, sancendo il principio secondo cui l'imposta da versare all'Erario deve essere conteggiata non con riferimento al valore nominale del buono, bensì all'effettivo prezzo di cessione del buono alla società di gestione.
La controversia ha come protagonista un supermercato (contribuente) che aveva stipulato un contratto con la società Alfa, che prevedeva quanto segue:
In buona sostanza, la contribuente aveva determinato l'IVA sugli acquisti effettuati dai clienti con i c.d. “buoni acquisto” della società Alfa con riferimento al valore nominale di detti buoni (5,00 euro) e non con riferimento al prezzo effettivamente pagato da Alfa al supermercato, sulla base degli accordi intervenuti tra i due (4,37 euro).
A seguito della richiesta di rimborso IVA l'Amministrazione Finanziaria restava silente e il silenzio-rifiuto veniva impugnato dalla contribuente.
Sia i Giudici della CTP di Milano che i Giudici della CTR della Lombardia avevano accolto il ricorso della società richiamando il principio già espresso della Corte di Giustizia Europea causa C-288/94 del 24 ottobre 2006 per cui la base imponibile relativa a cessioni di beni o prestazioni di servizi è rappresentata dal corrispettivo effettivamente percepito.
Sostanzialmente, dei buoni spesa per il pagamento di beni acquistati ha determinato che “il reale controvalore in denaro rappresentato dal buono va desunto dall’operazione iniziale di vendita del buono stesso ed è pari al valore nominale del buono diminuito dello sconto eventualmente praticato in quella fase”
La Cassazione, con l’Ordinanza in esame, ha confermato la pronuncia della CTR poiché, secondo i Giudici di legittimità, nell'ambito di un programma promozionale a punti per la fidelizzazione della clientela, se una società (supermercato) accetta di cedere merce ai clienti dietro consegna di buoni, incassando però dalla società di gestione del programma (Alfa), per gli stessi buoni, un valore inferiore a quello della merce ceduta (pari al valore nominale dei buoni medesimi), la società venditrice finisce per praticare un vero e proprio sconto sul prezzo finale.
Si legge nell’Ordinanza che “né può ragionevolmente ritenersi che si tratti […] di una cessione a titolo gratuito, assimilabile ad una cessione a titolo oneroso. In proposito, CGUE del 27/04/1999, in causa C48/97, Kuwait Petroleum, ha effettivamente ritenuto tali le cessioni dei premi conseguiti dai consumatori con i punti acquisiti a seguito della vendita di carburante, ma in tale ipotesi i premi erano stati acquistati e, quindi, ceduti ai clienti dalla stessa società che aveva organizzato la promozione, la quale non si era, dunque, limitata a "scontare" il prezzo di vendita dei propri prodotti”.
Pertanto, l'IVA da versare all'Erario deve essere conteggiata non con riferimento al valore nominale del buono, bensì all'effettivo prezzo di cessione del buono alla società di gestione.