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La compartecipazione agraria è un contratto agrario atipico in cui due soggetti si associano per la coltivazione di una coltura stagionale senza alcuna intenzione di costituire una società fra di loro.
Detto contratto ha, pertanto, natura associativa ed è caratterizzato dal carattere della precarietà, posto che la durata del rapporto contrattuale coincide sostanzialmente con il ciclo colturale del prodotto stagionale oggetto di coltivazione.
Le parti del contratto di compartecipazione agraria sono due: il concedente, che è colui che possiede il fondo in forza di un diritto reale o personale di godimento, ed il compartecipante, che è colui che provvede all’apporto manuale per la coltivazione del terreno.
In forza della sua attività di coltivazione del fondo, il compartecipante ha diritto a partecipare ai prodotti ricavati dal terreno secondo le percentuali pattuite in contratto, ma non può ricevere un compenso fisso predeterminato ab origine, configurandosi altrimenti un rapporto di lavoro subordinato.
A tal fine, il compartecipante è tenuto, altresì, a concorrere alle spese di produzione ed a partecipare al rischio di impresa che si concretizza nella mancata corresponsione della quota di prodotti di sua spettanza o nel conseguimento di una quota inferiore rispetto alle iniziali aspettative in caso di minore produttività del fondo.
Le considerazioni sopraesposte valgono, altresì, per l’associante o concedente, a cui non può essere riconosciuto un importo fisso indipendentemente dalle sorti del raccolto perché, diversamente operando, si verrebbe ad escludere la bilateralità dell’alea.
Queste premesse sono doverose per inquadrare correttamente il caso deciso dai Giudici di merito con la Sentenza del 2 novembre 2020, n. 534.
In quell’occasione, il compartecipante instaurava un procedimento monitorio nei confronti del concedente per non aver quest’ultimo corrispostogli l’importo concordato nel contratto di compartecipazione per coltivazione stagionale a titolo di compenso per l’attività di lavorazione svolta sui fondi condotti dal concedente, così come risultava dalle fatture e dall’estratto autentico notarile delle scritture contabili.
Avverso il decreto ingiuntivo promuoveva opposizione il concedente chiedendo al giudice di dichiarare la nullità del contratto per mancanza di causa, avendo le parti pattuito un compenso fisso a favore del compartecipante incompatibile con la natura giuridica dell’istituto della compartecipazione agraria.
Il decreto ingiuntivo emesso inaudita altera parte al termine dell’opposizione è stato, pertanto, revocato ed il contratto di compartecipazione agraria stagionale è stato dichiarato nullo dall’autorità giudiziaria, per essere stato in esso previsto a favore di una parte un importo minimo garantito a prescindere dal ricavato della produzione.
In conclusione, la ripartizione del prodotto ricavato dalla coltivazione del fondo nella compartecipazione agraria rappresenta il normale bilanciamento dei rispettivi interessi, che verrebbe, al contrario, stravolto laddove una parte ricevesse una somma predeterminata indipendentemente dal fatto che, in ipotesi, il prodotto possa essere interamente danneggiato a causa di un evento atmosferico avverso, quale una grandinata.
Qualsiasi contraria pattuizione che avantaggi una parte contrattuale impedendole di partecipare al rischio di impresa è, infatti, tale da inficiare l’intero negozio giuridico per mancanza di causa, vale a dire per il venir meno della funzione economico sociale sottesa alla compartecipazione agraria.
Stefania Avoni, avvocato
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