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Può sembrare ovvio e normale che un imprenditore agricolo possa applicare il regime IVA ex art. 34, ossia quello naturale di questo settore ma, secondo l’Agenzia delle Entrate, nel caso di contratti di soccida, tale regime IVA era precluso al soccidante che non conducesse in proprio un’attività di allevamento.
Il consolidato orientamento dell’Agenzia delle Entrate trovava conferma anche nelle decisioni dei Giudici di legittimità in tema di applicazione del regime IVA ex art. 34, in relazione a questa tipologia di attività (Cass. n. 4913/2007, n. 11597/2007). Ora, con due recenti Ordinanze (Ord. n. 987/2022 e n. 1146/2022), la Cassazione fa chiarezza sui requisiti richiesti al soccidante per poter applicare il regime speciale.
L’articolo 34 del D.P.R. 633/1972 definisce uno speciale regime IVA, applicabile ai produttori agricoli, che prevede una semplificazione degli adempimenti e una detrazione forfettizzata dell’IVA in misura pari all'importo risultante dall'applicazione, all'ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con Decreto del Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro per le Politiche Agricole.
Ai fini dell’applicazione di questo regime si era sostenuto che il soggetto passivo dovesse esercitare direttamente ed effettivamente un’attività di allevamento, pertanto, non poteva applicarsi nel contratto di soccida, con riguardo alla figura del soccidante, in quanto questi, non partecipando attivamente all’attività di allevamento, non svolgeva alcuna attività agricola.
Ora i Giudici di legittimità hanno precisato che la definizione di imprenditore agricolo, richiamata dall’articolo 34, rimanda alle previsioni dell’art. 2135 c.c. secondo cui “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.
La definizione di imprenditore agricolo non necessita della disponibilità del suolo e che lo stesso svolga direttamente l’attività agricola come invece era previsto nella precedente formulazione, ante riforma del 2001 (“attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicultura, all’allevamento del bestiame e delle attività connesse”).
Quindi, la norma interna di matrice unionale individua quale destinatario di tale regime IVA il soggetto che svolge attività di produzione agricola da destinarsi al mercato. La norma europea non pone alcuna prescrizione sulle modalità di esercizio dell’impresa agricola ai fini della fruizione del regime speciale, ammettendo quindi anche la possibilità di conduzione associata.
In questo contesto, il più diffuso tra i contratti associativi, quello di soccida semplice, regolato dall’articolo 2170 c.c. e seguenti, ove è previsto che il soccidante provvede al conferimento degli animali, alla fornitura dei mangimi necessari e alla direzione dell’impresa secondo le tecniche del buon allevatore, integra quanto richiesto dalla disciplina IVA.
La natura associativa del contratto di soccida semplice dà luogo ad una impresa agricola associata finalizzata all’allevamento in cui entrambe le parti, soccidante e soccidario, ognuno con distinte obbligazioni e funzioni, concorrono allo svolgimento comune dell’impresa al fine di ripartire gli utili ma anche i relativi rischi d’impresa.
Il fatto che entrambi i soggetti associati assumano la qualità di imprenditore agricolo è confermato anche dal fatto che l’articolo 1-bis, comma 6, del D.L. n. 2/2006, ha previsto che, in mancanza di accordo tra soccidante e soccidario, i diritti PAC, che spettano al produttore agricolo, vanno attribuiti in eguale misura ad entrambi i soggetti.
I Giudici, con le due Ordinanze in esame, hanno sconfessato i chiarimenti dell’Agenzia precisando che il precedente orientamento della Cassazione non ha mai inteso stabilire un principio di carattere generale secondo cui il soccidante può applicare il regime speciale solo se titolare di un allevamento in proprio, ma i pronunciamenti avevano ad oggetto casi specifici nei quali il contratto di soccida non era “genuino”, in quanto il soccidante non era assoggettato ad alcun rischio di impresa per l’attività di allevamento.
Pertanto, è assolutamente legittimo in presenza di contratti di soccida che il soccidante possa applicare il regime speciale IVA, indipendentemente che lo stesso gestisca in proprio almeno un allevamento.
Luciano Mattarelli
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