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Con la Sentenza n. 231/2022, la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna si è espressa in merito alla discussa questione delle attività agricole connesse nel settore del florovivaismo.
La controversia nasce da un avviso di accertamento notificato ad un florovivaista che, secondo l’Agenzia delle Entrate, oltre alle proprie, rivendeva piante acquistate da terzi senza né coltivarle e neppure sottoporle ad un processo di manipolazione o trasformazione.
Tale convincimento nasceva dal fatto che alcuni fornitori del contribuente, interpellati in sede di verifica da parte della GdF, avevano dichiarato che alcune piante potevano essere già pronte per la rivendita (senza che sulle stesse fosse indispensabile fare ulteriori attività).
I verificatori, sulla scorta di tali dichiarazioni, individuavano quindi alcune tipologie di piante sulle quali veniva disconosciuta una qualsivoglia attività agricola (principale e connessa) e i ricavi derivanti dalla vendita di tali tipologia di piante, per ciascun anno oggetto di accertamento, venivano tassati a costi e ricavi.
Il contribuente presentava ricorso avverso l’avviso di accertamento depositando una perizia tecnica asseverata con cui due periti agrari rilevavano in maniera puntuale le modalità di svolgimento dell’attività aziendale svolta, precisando le complesse attività legate alla manipolazione delle piante acquistate da terzi.
I Giudici di primo grado di Bologna, Commissione ormai avvezza alle controversie legate al mondo dell’agricoltura, hanno rigettato le pretese dell’Ufficio ribadendo i principi cardine relativi alla corretta applicazione della determinazione dei redditi su base catastale ex art. 32 del TUIR.
Così come esposto nel testo della Sentenza, ai fini fiscali, titolare del reddito agrario è colui che esercita una delle attività elencate nell’art. 2135 del Codice Civile, ossia, tra le altre, la coltivazione del fondo da intendersi come “attività diretta alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale (…), che utilizza o può utilizzare il fondo”.
Con la formulazione di tale articolo, il Legislatore ha eliminato il collegamento diretto con la terra permettendo, quindi, di considerare imprenditore agricolo anche chi esegue la coltivazione di vegetali in serre o in vivai (coltivazioni “fuori suolo”).
Inoltre, sempre l’art. 2135 c.c., prevede che siano comunque connesse le attività esercitate dal medesimo imprenditore dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli.
Per quanto riguarda la disciplina fiscale, l’art. 32 riprende il concetto di coltivazione intesa come cura e sviluppo del ciclo biologico, facendo rientrare nel regime dei redditi agrari anche i redditi prodotti dalle attività connesse dirette alla manipolazione e trasformazione (per il settore florovivaistico tali concetti sono stati analizzati in maniera dettagliata nella Risoluzione 11/E del 29 gennaio 2018.
Secondo i Giudici, la relazione tecnica depositata da controparte evidenzia in modo chiaro e convincente che le piante acquistate da terzi, prima di essere rivendute, debbono comunque essere sottoposte ad attività di manipolazione se si vuole garantire alle piante di raggiungere standard vegetativi per la vendita.
In conclusione, la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna ha sottolineato che il fatto che alcune delle piante acquistate da terzi fossero “potenzialmente idonee alla commercializzazione” deve essere circostanza provata dall’Ufficio, di anno in anno, per poter escludere tali piante dall’attività agricola svolta dal florovivaista.
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