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I Giudici di Bologna hanno emesso un’importante Sentenza che, per la prima volta, chiarisce la problematica relativa all’enunciazione dell’impresa familiare in agricoltura, chiarendo che la mancata enunciazione non è sufficiente a riqualificare il rapporto lavorativo tra i soggetti quale rapporto di lavoro subordinato.
L’Agenzia delle Entrate notificava al contribuente un avviso di accertamento con cui contestava l’omesso versamento delle ritenute relative al presunto rapporto di lavoro subordinato in essere tra il contribuente e suo nipote.
Nei fatti, il contribuente era regolarmente iscritto all’INPS quale Coltivatore Diretto e gestiva la propria attività con il nipote che risultava prestare il proprio apporto lavorativo quale collaboratore familiare nell’azienda agricola, infatti, lo stesso era inserito nel nucleo CD dello zio, il quale provvedeva a pagare regolarmente i contributi anche per il nipote.
Le contestazioni dell’Ufficio si basavano sul fatto che il contribuente non aveva fornito alcuna documentazione richiesta dalla normativa in tema di impresa familiare prevista dall’art. 5, comma 4, lett. a), D.P.R. 917/1986, pertanto, non sarebbero stati rispettati i criteri richiesti dalla normativa.
La norma sopra citata prevede testualmente che “i redditi delle imprese familiari di cui all'articolo 230-bis del Codice Civile, limitatamente al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.” Tale disposizione si applica a condizione che:
L’Ufficio, quindi, in mancanza di atto pubblico o scrittura privata in cui si enunciava l’impresa familiare, considerava la posizione del nipote quale lavoratore non regolarmente assunto e procedeva al recupero delle ritenute non operate.
I difensori del contribuente sostenevano che non si concretizzava alcun rapporto di lavoro subordinato poiché il nipote risulta inserito nel nucleo CD dello zio quale familiare coadiutore nell’ambito della disciplina dell’impresa famigliare di cui all’art. 230-bis c.c. Dal tenore letterale della norma, affinché si possa configurare un’impresa familiare, occorre la simultanea presenza delle seguenti condizioni:
Secondo la difesa, nel caso in esame, si concretizzavano tutti i presupposti dell’impresa familiare sopra elencati.
Secondo i Giudici di Bologna (Sentenza n. 265/2022), risultava che il nipote avesse svolto la propria attività a favore della ditta individuale dello zio, ma non vi erano sufficienti elementi probatori per potere affermare la natura subordinata del relativo rapporto.
La Commissione giudicante, richiamando i dettami della Suprema Corte (Sentenza 2 agosto 2010 n. 17992), ha affermato che la disciplina dettata dall’art. 230-bis c.c. attribuisce ai collaboratori di una impresa familiare sia diritti patrimoniali (di credito) verso il familiare imprenditore, sia poteri di partecipazione a taluni atti di impresa che sono strumentali alla salvaguardia dei loro diritti di contenuto economico. La norma non assicura una retribuzione mensile o alcun tipo di compenso, tuttavia la non gratuità della prestazione lavorativa non è elemento sufficiente per ritenere la sussistenza di un’attività di lavoro subordinato in luogo di una prestazione svolta a favore dell’impresa familiare, dovendo la subordinazione essere dimostrata in modo preciso e rigoroso.
In buona sostanza, caratteri dell’attività lavorativa come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell’impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante per la qualificazione del rapporto lavorativo, ma hanno natura unicamente sussidiaria, da valutarsi globalmente come indici probatori della subordinazione stessa. La nozione di subordinazione, dunque, è ricostruibile ex post soltanto alla luce di alcuni elementi sintomatici, tra cui:
A ciò fanno da corollario la collaborazione, l’assenza di rischio, la natura dell’oggetto della prestazione, la continuità di essa, la forma della retribuzione e l’osservanza di un orario, che possono avere portata sussidiaria ai fini della prova della subordinazione, ma possono essere decisivi solo se valutati globalmente e non singolarmente.
Inoltre, elemento non trascurabile nell’individuazione della natura del rapporto è la volontà negoziale manifestata dalle parti al momento dell’instaurazione del rapporto stesso.
Infine, la CTP di Bologna, richiamando la Sentenza n. 9264/2007 della Suprema Corte, ha affermato che “ai fini della qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato, il nome iuris attribuito al rapporto, pur non rivestendo valore assorbente, ha una incidenza decisoria in tutte quelle fattispecie in cui, come nel caso, i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che, quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero, il Giudice deve accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti spesse”.
Per questi motivi, considerando che nel caso esaminato dai Giudici non vi erano elementi sufficienti per potere affermare la natura subordinata della prestazione lavorativa tra nipote e zio, la subordinazione non può affermarsi quale conseguenza del mancato rispetto delle prescrizioni dettate dall’art. 5, comma 4, D.P.R. n. 917/1986, ossia l’enunciazione dell’impresa familiare con atto scritto.
Tale disposizione, infatti, fissa solo le condizioni per l’applicazione alle imprese familiari del regime fiscale ivi stabilito, ma risulta del tutto irrilevante ai fini della qualificazione della natura del rapporto di lavoro svolto da un soggetto all’interno dell’impresa familiare.
Questa Sentenza, che rappresenta uno dei primi pronunciamenti in questa materia, ha saputo interpretare in modo corretto ed inequivocabile una norma molto specifica, quale quella relativa all’impresa familiare, che nonostante le origini ormai datate è ancora oggi legata ai principi che stanno alla base della famiglia coltivatrice.
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