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La Sentenza del TAR del Lazio del 2021, con la quale veniva esclusa l’attività di produzione di pane dalle attività agricole connesse, ha creato grande scompiglio e preoccupazione alle imprese agricole.
Infatti, in tema di attività agricole connesse, non esistendo ancora una significativa giurisprudenza di riferimento, la Sentenza del TAR del Lazio si inserisce in un orientamento che interpreta in modo restrittivo l’agrarietà delle attività di trasformazione di prodotti ottenuti dall’attività di coltivazione e allevamento da parte dell’imprenditore agricolo.
Dal punto di vista fiscale, il Legislatore ha previsto, alla lett. c), del secondo comma, dell’art. 32, TUIR, che siano considerate connesse le attività agricole di trasformazione e manipolazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, dalla silvicoltura e dall’allevamento di animali, “con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze su proposta del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali”.
Pertanto, nel rispetto del principio della prevalenza, se i prodotti trasformati ottenuti dall’imprenditore agricolo sono compresi nel suddetto decreto, il reddito che ne deriva è assorbito dal reddito agrario e non vi è assoggettamento (sin dal 2016) all’IRAP, mentre se il prodotto ottenuto non è presente nella lista ministeriale la tassazione può avvenire forfettariamente ed il reddito si determina applicando ai corrispettivi relativi alle cessioni di tali beni un coefficiente di redditività pari al 15% (art. 56-bis, comma 2, TUIR). In tale ultimo caso il reddito prodotto, ancorché determinato forfettariamente, rappresenta un reddito d’impresa.
Tale lista di prodotti è stata implementata nel corso degli anni con l’emanazione in sequenza di alcuni decreti. Tra le attività agricole connesse ammesse, anche nell’ultimo decreto approvato (D.M. 13 febbraio 2015), è presente la produzione di pane.
Con la riscrittura dell’art. 2135, Codice Civile, oltre alle tradizionali attività di coltivazione, silvicoltura e allevamento, è stato previsto che nell’ambito delle attività agricole vi possono rientrare talune attività che per loro natura, quando non svolte da un imprenditore agricolo, dovrebbero essere qualificate commerciali.
Tale apertura è ammessa dal terzo comma dell’art. 2135, Codice Civile: “Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali (…)”.
Pertanto, applicando la norma al caso di specie, è imprenditore agricolo colui che trasforma prevalentemente prodotti ottenuti dal risultato di almeno una delle tre attività agricole principali: coltivazione, silvicoltura e allevamento.
Una questione controversa riguarda la possibilità, nell’ambito delle attività agricole connesse, di praticare ulteriori trasformazioni dei prodotti agricoli originari. Nella citata sentenza, il TAR del Lazio ha infatti sostenuto che il pane, essendo frutto di una seconda trasformazione (la prima trasformazione è rappresentata dalla produzione di farina ricavata dai cereali coltivati dall’impresa agricola), non può essere considerato un prodotto agricolo, pertanto, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il MIPAAF, inserendo tale prodotto nel decreto previsto dall’art. 32, TUIR, era andato oltre alla delega contenuta dal medesimo articolo. Per tale ragione il TAR aveva disposto l’annullamento del decreto emanato nel 2010 e riconfermato nel 2011 per la parte in cui tali provvedimenti rappresentavano, tra i beni che possono essere oggetto delle attività agricole connesse, “la produzione di prodotti di panetteria freschi” e la “produzione di pane”.
Successivamente alla pubblicazione dei decreti oggetto della censura del TAR del Lazio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha provveduto periodicamente all’aggiornamento dei prodotti in base alle previsioni dell’art. 32, TUIR, e nell’ultimo decreto, pubblicato il 13 febbraio 2015, ha confermato la “produzione di pane”.
Alla Sentenza del TAR del Lazio è seguito un ricorso al Consiglio di Stato proposto dalle associazioni di categoria.
Nella Sentenza n. 08670/2022, pubblicata il 10 ottobre 2022, il Consiglio di Stato ha ravvisato come il Ministero dell’Economia e delle Finanze non abbia, con i successivi provvedimenti, proceduto ad una mera conferma di quelli precedentemente emanati. Secondo il collegio si tratta, invece, di atti distinti tra loro, che hanno autonomamente disciplinato il regime fiscale delle attività considerate connesse per ciascuno dei periodi considerati. Pertanto, secondo il Consiglio di Stato, vi è l’onere di impugnare ciascuno degli atti per ottenerne l’annullamento. Ne consegue che il D.M. 13 febbraio 2015, attualmente in vigore, è tuttora legittimo anche per la parte in cui riporta tra le attività connesse la produzione del pane.
Il collegio ha inoltre affermato che quando un provvedimento impugnato cessa di produrre i propri effetti, in quanto sostituito nelle more da altro provvedimento, ancorché di contenuto analogo e che disciplina il periodo temporale successivo, salvo che residui un ulteriore interesse strumentale o ai fini risarcitori, viene meno l’attualità dell’interesse a ricorrere.
Nel caso di specie il collegio non ha individuato alcun profilo di attualità dell’interesse riferito ai periodi pregressi in relazione alla violazione del principio di concorrenza, posto che la lamentata violazione si sarebbe già verificata ed esaurita, pur proseguendo nell’attualità sulla base di un nuovo provvedimento che, tuttavia, non è stato impugnato.
La Sentenza del Consiglio di Stato pare quindi mettere al riparo da contestazioni per le annualità pregresse, ma lascia anche intendere che qualora fosse impugnato il decreto attualmente in vigore, le ragioni dei panificatori avrebbero ottime possibilità di essere riconosciute.
Si pone quindi un problema non di poco conto, determinato da una disposizione che, ammettendo la trasformazione del pane ed altri prodotti nell’ambito delle attività agricole, ha indotto molte imprese del settore primario ad effettuare gravose scelte imprenditoriali ed economiche; tali imprese, inoltre, hanno richiesto ed ottenuto contributi pensando di operare correttamente in agricoltura.
Per queste imprese agricole incombe quindi il rischio che si riapra il medesimo fronte anche in futuro, considerato che la giurisprudenza pare abbia abbracciato un orientamento ben più restrittivo rispetto al Ministero dell’Economia e delle Finanze.