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Con Risposta a Interpello n. 482 del 28 settembre 2022, l’Agenzia delle Entrate è tornata a esprimersi sulla rilevanza reddituale dei rimborsi percepiti dai lavoratori autonomi in annualità successive a quella di sostenimento del relativo costo. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, in particolare, tali rimborsi non costituiscono sopravvenienze attive, irrilevanti nell’ambito del reddito da lavoro autonomo, ma veri e propri compensi professionali tassabili.
Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate si riflettono, tra l’altro, sul rimborso delle spese comuni per lo studio utilizzato da più professionisti non organizzati in un’associazione professionale.
Con Risposta a Interpello n. 482 del 28 settembre 2022, l’Agenzia delle Entrate ha esaminato il caso proposto da un professionista che, a seguito della cessazione del contratto di affitto del proprio studio professionale, ha ottenuto una somma dal proprietario dell’immobile per aver versato, nelle annualità precedenti, canoni di locazione d’importo maggiore rispetto a quanto effettivamente dovuto.
Secondo il professionista istante, tale somma è da riferirsi ai canoni di locazione dedotti dal proprio reddito di lavoro autonomo nei periodi d’imposta precedenti e, pertanto, costituisce una sopravvenienza attiva, non tassabile ai sensi dell’art. 54, TUIR.
L’Agenzia delle Entrate non ha condiviso la soluzione prospettata dal contribuente, ritenendo che la somma percepita dal lavoratore autonomo debba concorrere, quale componente positivo, alla determinazione del reddito di lavoro autonomo dell’istante nell’anno di percezione della stessa, trattandosi di un rimborso di spese inerenti all’esercizio dell’attività professionale svolta.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, in particolare, per ragioni di simmetria impositiva il rimborso delle spese che hanno concorso alla formazione del reddito sotto forma di costi deducibili, se incassato in annualità successive a quelle di sostenimento del costo, deve essere assoggettato a imposizione e ad applicazione della ritenuta a titolo di acconto.
Quando più professionisti, con autonoma Partita IVA e senza vincoli associativi, condividono lo stesso studio, usufruendo in comune di beni e servizi (ad esempio, energia elettrica, gas, acqua, locazione, assicurazioni, ecc.), l’addebito di tali spese viene generalmente imputato ad uno solo di essi, ossia all’intestatario del contratto di locazione e delle utenze.
Quest’ultimo provvede periodicamente a ripartire le spese pro-quota agli altri professionisti che utilizzano lo studio.
Dal punto di vista reddituale, le somme incassate a titolo di rimborso delle spese sostenute non costituiscono compensi riconducibili all’attività caratteristica esercitata dal professionista e, pertanto, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro autonomo.
In particolare, tali rimborsi non costituiscono per il percipiente componenti positivi di reddito, ma minori costi di gestione, dati dalla differenza tra i costi sostenuti ed i rimborsi ricevuti dagli altri professionisti.
Peraltro, non costituendo un compenso, le somme rimborsate non sono da assoggettare a ritenuta di acconto.
I costi sostenuti dall’intestatario dei contratti costituiscono, dunque, componenti negativi di reddito, deducibili all’atto del pagamento (criterio di cassa), solo per la quota che rimane a carico del professionista.
Dal punto di vista dell’IVA, con Circolare n. 58/E/2001, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la fattura per il rimborso delle spese sostenute dal professionista intestatario dei contratti afferenti le spese comuni di studio, deve essere assoggettata a IVA con aliquota ordinaria, in quanto riferibile a prestazioni di servizi rese dal professionista che effettua il riaddebito.
Osservando la nuova interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, i proventi da riaddebito incassati dal professionista nell’esercizio di sostenimento delle relative spese, costituiscono minori costi. Differentemente, i rimborsi incassati in periodi d’imposta successivi a quello di sostenimento dei costi, rappresentano veri e propri compensi professionali, da assoggettare a ritenuta di acconto.
A parere di chi scrive, l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate risulterà alquanto penalizzante per quei contribuenti che, operando in regime forfettario, non sono titolati a dedursi le spese, in quanto, per essi, trova applicazione solamente il coefficiente di redditività.