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ll D.D.L. Bilancio 2023 prevede, tra l’altro, la reintroduzione delle limitazioni alla deducibilità dei costi derivanti da operazioni commerciali effettuate con imprese e professionisti, residenti o localizzati in Paesi o territori fiscalmente non cooperativi, come indicati dall’Allegato I della c.d. black list UE.
Con l’introduzione dei nuovi commi 9-bis e 9-ter nell’art. 110, TUIR, l’art. 20 del D.D.L. Bilancio 2023 intende reintrodurre i limiti di deducibilità alle spese derivanti da operazioni intercorse con imprese e professionisti, residenti o localizzati in Stati o territori considerati non cooperativi ai fini fiscali.
Rispetto alla precedente disciplina, in vigore fino al periodo d’imposta 2015, è stata, tuttavia, ristretta l’operatività della disposizione antielusiva, limitandone l’applicazione alle operazioni intercorse con i Paesi ed i territori elencati nell’Allegato I alla c.d. black list UE.
Il nuovo comma 9-bis dell’art. 110, TUIR, prevede, in particolare, che le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti o localizzate in Paesi o territori non cooperativi a fini fiscali, siano ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’art. 9, TUIR. Tale previsione opera anche in relazione alle prestazioni di servizi rese da professionisti domiciliati negli stessi Paesi o territori considerati non cooperativi.
Tuttavia, il successivo comma 9-ter dell’art. 110, TUIR, dispone che tali limitazioni non trovino applicazione quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
In buona sostanza, i costi black list che non eccedono il valore normale, restano interamente deducibili dal reddito d’impresa, mentre, quelli che eccedono il valore normale, sono deducibili, per l’eccedenza, solamente a fronte della dimostrazione dell’effettivo interesse economico.
Dal punto di vista procedurale, è previsto che l’Amministrazione Finanziaria, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, sia tenuta a notificare all’interessato un apposito avviso, con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, entro il termine di novanta giorni, la prova dell’effettivo interesse economico e della concreta esecuzione dell’operazione.
Qualora l’Amministrazione Finanziaria non ritenga idonee le prove addotte dal contribuente, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. A tal fine, il contribuente potrà presentare istanza di interpello probatorio all’Agenzia delle Entrate.
Dalle nuove limitazioni restano espressamente escluse le operazioni intercorse con soggetti non residenti già interessati dalla disciplina CFC.
Da ultimo, si evidenzia che è prevista anche la reintroduzione dell’obbligo di segnalare separatamente in dichiarazione dei redditi i costi afferenti tali operazioni.
In caso di omessa o incompleta separata indicazione delle spese de quo in dichiarazione dei redditi, è quindi prevista l’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 8, comma 3-bis, D.Lgs. n. 471/1997, pari al 10% dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non indicati nel Modello Redditi, con un minimo di 500 euro e un massimo di 50.000 euro.
Il nuovo comma 9-bis dell’art. 110, TUIR, prevede che si considerino Paesi o territori non cooperativi ai fini fiscali le giurisdizioni individuate nell’Allegato I alla black list UE adottata dal Consiglio dell’Unione Europea (aggiornata con cadenza semestrale).
La lista, da ultimo aggiornata lo scorso 4 ottobre 2022, ricomprende, allo stato attuale:
In tali Paesi non si registra un particolare interscambio commerciale con le imprese italiane e, pertanto, si ritiene che la novellata disciplina troverà scarsa applicazione.
Si evidenzia, tuttavia, che alcuni degli Stati attualmente ricompresi nell’Allegato II alla grey list UE, a causa di alcune loro previsioni normative non conformi agli standard fiscali Europei, potrebbero essere riallocati nella black list UE, con la conseguente operatività della disciplina in esame (tra questi rientra, in particolare, la Turchia, con la quale le imprese Italiane intrattengono stretti rapporti commerciali).
In caso di dubbio è dunque opportuno verificare, prima di dar corso all’operazione, se il Paese o il territorio della controparte commerciale risulti residente o localizzato in uno degli Stati della black list UE.