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Il mondo dell’allevamento dei cavalli da corsa ha numerose connessioni con il settore agricolo in quanto, ricorrendo determinate condizioni, l’allevatore può considerarsi a tutti gli effetti un imprenditore agricolo.
Per le attività di allevamento equino strettamente collegate al mondo delle corse dei cavalli o dell’agonismo in generale, spesso gli allevamenti nascono con lo scopo di produrre capi da preparare a tale fine.
L’attività di allevamento rientra a pieno titolo tra quelle disciplinate dall’art. 2135, Codice Civile, ma il comma 2 dello stesso articolo qualifica come tali quelle “dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.
Il concetto di cura e sviluppo di un ciclo biologico presuppone l’accrescimento dell’animale, cosa, questa, che, se appare palese laddove la finalità è quella di operare per la produzione della carne, meno evidente risulta negli allevamenti di cavalli da corsa.
Ricordiamo, inoltre, che per rientrare nel regime della tassazione catastale, l’art. 32 del TUIR, con riferimento agli allevamenti, richiede la disponibilità, in proprietà o in affitto, di un fondo potenzialmente in grado di fornire almeno un quarto del mangime necessario all’alimentazione dei capi allevati.
A ben vedere, distinguere il giusto confine per definire se l’allevamento di cavalli rientra nel mondo agricolo oppure no, risulta alquanto complesso e ciò che ci può soccorrere, per effettuare una tale valutazione, potrà essere la corretta verifica dello scopo ultimo per il quale l’allevamento è stato realizzato.
La Circolare del Ministero delle Finanze n. 27 del 14 agosto 1981 ci aiuta a tracciare questo confine, evidenziando come la categoria dei cavalli da corsa, intesi quali purosangue e trottatori, allevati allo scopo di partecipare a competizioni agonistiche, non possano dare origine ad un’attività disciplinata con le regole del reddito agrario; mentre rientrerà in tale alveo (reddito agrario) l’allevamento di puledri, non ancora preparati ad affrontare le competizioni agonistiche al pari degli stalloni e delle fattrici che, alla fine della propria carriera agonistica, vengono impiegati per la riproduzione.
Pertanto, sino alla fase in cui tali animali, sia pure opportunamente selezionati in quanto potenzialmente predisposti per l’attività agonistica, sono allevati per la crescita, nel rispetto dei parametri richiesti dall’art. 32 del TUIR, produrranno reddito agrario, mentre, una volta raggiunta la fase di maturità agonistica e preparati a tale scopo, gli stessi capi non potranno più essere considerati produttivi di reddito agrario, bensì qualificheranno attività meramente commerciali.
Tali tipologie di provvidenze sono strettamente correlate al mondo dell’allevamento dei cavalli e possono assumere qualificazioni distinte, che ne determinano anche differenti trattamenti tributari.
Possiamo distinguerle principalmente in due macro categorie:
Orbene, all’atto del percepimento di tali provvidenze, considerato che gli importi erogati saranno ordinariamente assoggettati a ritenuta fiscale a titolo di acconto, qualora l’allevatore volesse l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta, essendo la sua attività qualificata come agricola, dovrebbe attivarsi presentando (a mano o tramite posta elettronica) apposita autocertificazione al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
In tale caso, le provvidenze percepite saranno inglobate nel reddito catastale e resteranno, dunque, al di fuori dello svolgimento di un’attività commerciale produttiva di reddito d’impresa.
Con riferimento ai cosiddetti “premi al traguardo”, essendo questi ultimi erogati ad allevatori o proprietari nel contesto di un’attività agonistica, non potranno mai riferirsi all’attività di puro allevamento e, pertanto, risulteranno sempre soggetti a ritenuta a titolo d’acconto, andando a confluire all’interno del reddito commerciale dell’allevatore.