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La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, affrontando il caso di un’impresa che prima del 2016 aveva realizzato un impianto fotovoltaico omettendo di aggiornare la rendita dell’immobile, è intervenuta sulla modalità di determinazione del valore catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, a seguito della disciplina dei c.d. “Imbullonati”, introdotta dall’art. 1, comma 21, Legge n. 208/2015, c.d. Legge di Bilancio 2016.
Una Società a Responsabilità Limitata ha realizzato un impianto fotovoltaico sulla copertura di un capannone di sua proprietà, sostenendo un costo di oltre 1,5 milioni di euro. Terminati i lavori, l’impresa non ha provveduto alla richiesta di variazione catastale, continuando a pagare l’IMU e la TASI sul valore catastale originario, senza dunque tener conto dell’incremento di valore determinato dall’impianto realizzato. Il Comune, nel 2019, ha richiesto la documentazione relativa agli investimenti effettuati, pretendendo l’imposta sul maggior valore dell’immobile sin dalle annualità precedenti il 2016.
A partire dal 2016, per effetto dell’art. 1, comma 21, Legge n. 208/2015: “la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo.”
La norma, non avendo natura interpretativa, non poteva essere applicata retroattivamente, inoltre, al comma successivo, dispone che gli intestatari degli immobili già censiti in catasto potessero presentare una richiesta di variazione in diminuzione della rendita catastale precedentemente dichiarata, applicando quanto disposto dal citato comma 21.
Secondo gli Uffici comunali, l’omessa presentazione della variazione catastale ad ultimazione dei lavori per l’installazione dell’impianto fotovoltaico (realizzato prima del 31 dicembre 2015), non consentiva al contribuente di beneficiare della disposizione che, dal 2016, prevedeva l’esclusione dal valore catastale dei costi degli impianti introdotta dalla Legge n. 208/2015.
Sul punto, la Corte di secondo grado, divergendo dalla conclusioni espresse nel precedente grado di giudizio, ha sostenuto che sarebbe assurdo e probabilmente incostituzionale tenere conto, ai fini della tassazione degli immobili, degli impianti fotovoltaici per i soggetti che non hanno provveduto all’aumento della rendita catastale entro il 31 dicembre 2015 e che, pertanto, non avrebbero necessità di chiederne la diminuzione e, invece, di ammettere, dal 2016, ai soli soggetti che avevano precedentemente presentato la variazione in aumento, di neutralizzarla con una nuova variazione. Altrimenti, si perverrebbe al paradosso di una disparità di trattamento fiscale non legato ad una diversità di manifestazioni sintomatiche della capacità contributiva, ma unicamente ad una discutibile interpretazione della norma che, a parere del collegio, è unicamente finalizzata a regolare le modalità con le quali i contribuenti che avevano già presentato una variazione in aumento potevano beneficiare della nuova disposizione agevolativa (Corte di Giustizia di II grado della Lombardia, Sentenza n. 5152 depositata il 20 dicembre 2022).
L’orientamento espresso dalla corte lombarda è condivisibile in quanto, come evidenziato dagli stessi Giudici, l’interpretazione avallata nel primo grado di giudizio determinava una disparità di imposizione fiscale che nulla attiene alla capacità contributiva del contribuente.
Ricordiamo, a tal fine, che l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016, aveva rappresentato che per le centrali di produzione di energia e stazioni elettriche “non sono più oggetto di stima le caldaie, le camere di combustione, le turbine, le pompe, i generatori di vapore a recupero, gli alternatori, i condensatori, i compressori, le valvole, i silenziatori e i sistemi di regolazione dei fluidi in genere, i trasformatori e gli impianti di sezionamento, i catalizzatori e i captatori di polveri, gli aerogeneratori (rotori e navicelle), gli inverter e i pannelli fotovoltaici, ad eccezione, come detto, di quelli integrati nella struttura e costituenti copertura o pareti di costruzioni.”
Anche nel settore agricolo, dato che gli impianti fotovoltaici, ad esclusione di quelli a terra, sono realizzati su immobili già esistenti ed accatastati nella categoria D/10 (fabbricati rurali strumentali quali fienili, stalle, magazzini, ecc.) è possibile che i proprietari di impianti realizzati prima del 2016 non abbiano provveduto alla variazione del valore, similmente al caso trattato della Corte lombarda. In tale ipotesi, fin quando l’immobile ha i requisiti di ruralità di cui all’art. 9, comma 3-bis, D.L. n. 557/1993, vista la quasi irrilevanza fiscale, riteniamo che difficilmente possano essere sollevate questioni dai comuni sui quali insiste il fabbricato.
Tuttavia, è auspicabile che, qualora detti immobili perdano la caratteristica della ruralità, l’orientamento espresso dai giudici lombardi possa essere ampiamente condiviso anche dalle Amministrazioni comunali, altrimenti potrebbero essere avanzate pretese ai fini IMU su valori molto elevati.