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La Corte di giustizia europea riapre inaspettatamente il dibattito sulla legittimità dell’art. 20 dell’imposta di registro. I contribuenti che, ad oggi, hanno ancora in corso cause sull’applicabilità estensiva dell’art. 20 TUR potrebbero vedere le loro posizioni concludersi negativamente.
Ricordiamo che, con la Legge di Bilancio 2018, il Legislatore aveva modificato la disciplina dell’art. 20 del Testo Unico dell’imposta di Registro, per evitare che l’Agenzia delle Entrate potesse riqualificare gli atti sottoposti a registrazione sulla base dei pretesi obiettivi perseguiti dalle parti, individuati tenendo conto di elementi interpretativi esterni all’atto stesso e a negozi eventualmente collegati.
La norma, a seguito delle modifiche apportate nel 2018, prevede che l’imposta di registro sia applicata sull’atto soggetto a registrazione, prescindendo dagli elementi extratestuali e dagli atti ad esso collegati. In buona sostanza, viene circoscritto il potere interpretativo dell’Amministrazione Finanziaria alla sola indagine del documento presentato alla registrazione, senza potersi appellare a eventuali atti presentati separatamente.
Stando alla ratio legis, emerge che “detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte”.
Con l’art. 1, comma 1084 della Legge 145/2018 è stata data valenza retroattiva alle modifiche sopra descritte, chiudendo, quindi, anche le controversie passate causate da un’interpretazione estensiva dell’art. 20 TUR.
Nel 2019, la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza 23549 del 23 settembre, aveva rimesso la questione di legittimità costituzionale del nuovo art. 20 TUR alla Consulta, ravvedendo in tale disposizione una possibile violazione dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva sanciti dalla Costituzione agli artt. 3 e 53.
Nella parte di motivazione dell’ordinanza, la Corte reputa imprescindibile il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, che imporrebbe di qualificare l’atto secondo parametri di tipo sostanzialistico, e non nominalistico o di apparenza, ed ha riconosciuto che la giurisprudenza di legittimità ha sempre valorizzato il dato sostanzialistico. Sulla base di tali principi, il Giudice ha ritenuto che l’attuale art. 20 TUR nulla avrebbe a che fare con il dato sostanzialistico aderendo, bensì, ad un principio a carattere nominalistico.
Pertanto, invocando la lesione dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva, la Corte ha incaricato il Giudice delle Leggi sulla questione di legittimità.
La Corte costituzionale, con le due Sentenze 158/2020 e 39/2021, ha ritenuto non fondate tali questioni ma tale argomento, che si riteneva ormai chiuso, è stato oggetto di un nuovo intervento della Cassazione che, con l’Ordinanza 10283/2022, ha posto una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sull’ambito di applicabilità dell’articolo 20.
La Corte di giustizia europea, con l’Ordinanza C-250/22 del 21 dicembre 2022, ha dichiarato “manifestatamente irricevibile” la domanda di pronuncia pregiudiziale, evidenziando che:
Resta quindi ancora aperta la questione sulla legittimità dell’art. 20 che, pare, potrebbe essere ancora oggetto di una pronuncia della Corte di giustizia che, ci si auspica, non modifichi il suo precedente orientamento.