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Il settore dei tartufi, con particolare riferimento ai raccoglitori occasionali, attende da anni la definizione delle regole per una corretta gestione delle attività, soprattutto sotto il profilo fiscale. Le norme che, nel tempo, hanno disciplinato la materia sono le seguenti:
Dall’esame delle richiamate leggi emergono numerose incongruenze che, al momento, continuano a persistere.
Sia la Legge n. 311/2004, sia la Legge 7 luglio 2016, n. 122, sono norme che presentano molte lacune e, di conseguenza, le indubbie difficoltà applicative hanno indotto il Legislatore ad emanare nuove disposizioni, finalizzate alla disciplina sia delle imposte dirette, sia dell’IVA.
Le nuove norme sono contenute nella L. 30 dicembre 2018, n. 145, articolo 1, commi da 692 a 699.
In primo luogo si evidenzia che il comma 692, nonché il comma 696 che modifica l’articolo 1, comma 109, della richiamata Legge n. 311/2004, hanno ampliato l’ambito oggettivo delle nuove disposizioni, che si applicano non più soltanto alle cessioni di tartufi, ma alle cessioni di “prodotti selvatici non legnosi di cui alla classe ATECO 02.30, a cui si aggiunge la raccolta di piante officinali spontanee come regolata dall’articolo 3 del Testo Unico di cui al Decreto Legislativo 21 maggio 2018, n. 75”.
Le imposte previste per i raccoglitori occasionali sono due:
In merito alla prima imposta l’art. 1, comma 692, Legge n. 145/2018, prevede che i redditi derivati dallo svolgimento, in via occasionale, delle attività di raccolta di prodotti selvatici non legnosi di cui alla classificazione ATECO “02.30”[1] e quelli derivanti dalla raccolta di piante officinali spontanee siano assoggettati ad un’imposta sostitutiva dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche e relative addizionali nella misura di euro 100, che deve essere versata entro il 16 febbraio dell’anno di riferimento (quindi, in via anticipata).
Il versamento dell’imposta sostitutiva, in particolare, interessa le persone fisiche i cui corrispettivi percepiti dalla vendita dei sopraindicati prodotti non superino la soglia annua di 7.000 euro, in possesso del titolo di raccolta rilasciato, per uno o più prodotti, dalla Regione o da altri enti subordinati (sono, invece, esclusi dall’obbligo di versamento dell’imposta le persone fisiche che effettuano la raccolta esclusivamente per autoconsumo personale).
Il limite annuo di euro 7.000 va calcolato tenendo presente che tali corrispettivi non si cumulano con eventuali altri redditi del raccoglitore.
L’imposta di cui al punto 1) è riservata ai soggetti che dalla vendita dei prodotti percepiscono, nell’anno, un ammontare di corrispettivi non superiore a euro 7.000. Al riguardo, si ritiene che il raccoglitore debba attestare all’acquirente l’avvenuto versamento dell’imposta, in mancanza del quale, l’acquirente è tenuto ad operare la ritenuta di cui al punto 2).
In merito alla seconda imposta, l’art. 25-quater, D.P.R. n. 600/1973 prevede il versamento di una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 23%, applicata sul 78% dei corrispettivi. Tale ritenuta trova applicazione nei confronti dei raccoglitori con corrispettivi annui d’importo superiore a 7.000 euro. Quando applicabile, la ritenuta deve essere versata con il Modello F24, codice tributo “1040” (Risoluzione n. 123/E del 2016).
Gli acquirenti soggetti IVA, per le operazioni effettuate senza applicazione della ritenuta di cui al punto 2), devono emettere un documento di acquisto contenente le seguenti indicazioni:
Con la Risoluzione 13 febbraio 2019, n. 10/E, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il “codice ricevuta” è rappresentato dalla data del versamento dell’imposta sostitutiva, dal Codice Fiscale del soggetto che ha effettuato il pagamento, dal codice tributo “1853” istituito con la stessa Risoluzione, dall’importo versato e dall’anno di riferimento.
Il raccoglitore che, tuttavia, è soggetto passivo IVA, ai sensi dell’articolo 34-ter del D.P.R. n. 633/1972, non potendo vantare la caratteristica di “occasionale”, dovrà emettere la fattura di vendita e non dovrà essere applicata dall’acquirente alcuna ritenuta, indipendentemente dall’ammontare dei corrispettivi.
La disciplina IVA per i raccoglitori occasionali è contemplata nell’articolo 34-ter, inserito, tra le norme del D.P.R. n. 633/1972, dall’articolo 1, comma 698, della Legge n. 145/2018:
Art. 34-ter (Regime fiscale per raccoglitori occasionali) - 1. I raccoglitori occasionali di prodotti selvatici non legnosi di cui alla classe ATECO 02.30, a cui si aggiungono i raccoglitori occasionali di piante officinali spontanee ai sensi dell’articolo 3 del Decreto Legislativo 21 maggio 2018, n. 75, che nell’anno solare precedente hanno realizzato un volume d’affari non superiore ad euro 7.000, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale.
Se l’ammontare dei corrispettivi non è superiore al limite annuo di euro 7.000, l’attività è qualificata occasionale, con conseguente inapplicabilità delle disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto.
Il superamento del predetto limite comporta la perdita del requisito dell’occasionalità e l’applicazione dell’IVA secondo le regole ordinarie, con attribuzione anche del numero di Partita IVA.
Nella richiamata Circolare n. 8/E del 2019, l’Agenzia delle Entrate indica, a titolo esemplificativo, come gestire l’esonero, affermando che: “i raccoglitori occasionali dei prodotti in argomento che, per l’anno 2019, sono esonerati dal versamento dell’imposta e da tutti gli obblighi documentali e contabili, compresa la dichiarazione annuale, sono coloro che, nell’anno solare 1° gennaio-31 dicembre 2018, hanno conseguito un volume d’affari non superiore a 7.000 euro”.
In sostanza, l’Agenzia ritiene applicabile la regola generale in base alla quale il regime si determina tenendo conto dei corrispettivi conseguiti nell’anno precedente, indipendentemente dall’ammontare realizzato nell’anno in corso.
L’impianto di tartufaie e la loro cura, in terreni di cui l’imprenditore agricolo ha la disponibilità, al fine della vendita dei tartufi raccolti, è attività agricola; trattandosi di coltivazione di vegetali si applicano per gli imprenditori agricoli, in forma individuale o di società semplice, le disposizioni previste dall’articolo 32 del TUIR (reddito agrario).
Per quanto concerne le rendite catastali da utilizzare, si osserva che il tartufo è un fungo, che cresce sottoterra, e fa parte della famiglia delle tuberacee.
Pertanto, in assenza di una specifica tariffa d’estimo, si ritiene applicabile la disposizione prevista dagli articoli 28, comma 4-bis, e 34, comma 4, del TUIR, in base ai quali il reddito dominicale ed il reddito agrario delle superfici adibite alle colture prodotte in serra o alla funghicoltura, in mancanza della corrispondente qualità nel quadro di qualificazione catastale, sono determinati mediante l’applicazione della tariffa d’estimo più alta in vigore nella Provincia.
Il tartufo, se coltivato, è, senza dubbio, un prodotto agricolo, ma, ai fini dell’applicazione del regime speciale per l’agricoltura di cui all’articolo 34 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sono necessarie due condizioni:
Fino all’anno 2016, il tartufo non era presente in nessuna tabella IVA, con la conseguenza che le cessioni del prodotto erano soggette all’aliquota ordinaria, con detrazione nel modo normale.
Un primo intervento del Legislatore è stato operato dall’articolo 29 della richiamata Legge 7 luglio 2016, n. 122 (Legge Europea), che ha inserito nella citata Tabella A, parte III, tra i prodotti soggetti all’aliquota del 10%, il n. 20-bis: “20-bis) tartufi freschi, refrigerati o presentati immersi in acqua salata, solforata o addizionata di altre sostanze atte ad assicurarne temporaneamente la conservazione, ma non specialmente preparati per il consumo immediato”.
Successivamente, la Legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di Bilancio per l’anno 2019), con l’articolo 1, comma 698, lettere b), c) e d), ha completato le modifiche alla citata Tabella A, per il pieno riconoscimento agricolo del prodotto. Infatti:
Con la Circolare 10 aprile 2019, n. 8/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che per “refrigerato” si intende un prodotto la cui temperatura è stata abbassata, generalmente, sino a circa zero gradi centigradi senza raggiungere il congelamento del prodotto stesso, mentre per “congelato” si intende “un prodotto che è stato raffreddato al di sotto del suo punto di congelamento, fino al congelamento delle parti più interne”.
In riferimento alle quantità standard di produzione, il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, di concerto con il Ministro delle Finanze, ha emanato, in data 8 gennaio 2020, il Decreto Interministeriale n. 64, nel quale le produzioni sono distinte a seconda che avvengano sui terreni agricoli o in zone boschive:
A. Terreni agricoli
B. Zone boschive
Per finalità statistiche e per attività di controllo è istituito, presso il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, un sistema informativo relativo alle tartufaie coltivate.
Per l’alimentazione di tale sistema, le Regioni e le Province autonome comunicano, entro il 31 dicembre di ogni anno, gli estremi identificativi delle tartufaie coltivate e controllate, unitamente agli estremi delle persone abilitate alla raccolta.
Per contro, l’Agenzia delle Entrate comunica alle Regioni ed alle Province autonome la lista dei raccoglitori che hanno versato l’imposta sostitutiva.
Anche in questo caso mancano indicazioni sul corretto comportamento da adottare nel caso in cui i limiti previsti dal Decreto siano superati.
Per il momento il problema non si pone, in quanto, a distanza di oltre due anni dall’inserimento dei tartufi tra i prodotti agricoli, non è stato ancora emanato il provvedimento che fissa la percentuale di compensazione, con la conseguenza che per le cessioni del prodotto effettuate da un produttore agricolo è applicabile soltanto il regime di detrazione normale dell’imposta.
[1] Tra i prodotti selvatici non legnosi ricompresi nella classificazione ATECO “02.30” rientrano: i funghi, i tartufi, le bacche, la frutta in guscio, la balata e altre gomme simili al caucciù, il sughero, la gommalacca, le resine, i balsami, il crine vegetale, il crine marino, le ghiande, i frutti dell’ippocastano, i muschi e i licheni. Le piante officinali spontanee sono invece quelle indicate dall’art. 3, D.Lgs. n. 75/2018.