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La capacità di posizionare i propri prodotti direttamente sul mercato attraverso la propria rete commerciale e la vendita diretta al dettaglio, per molte imprese agricole rappresenta una realtà in grado valorizzare le proprie produzioni e, conseguentemente, offrire una miglior redditività.
Tuttavia, le dinamiche del mercato impongono anche alle imprese agricole di disporre di un’ampia gamma di prodotti, garantendo anche la continuità nel tempo della propria offerta. La perdita di prodotti ed animali dovuta alle recenti calamità naturali rischia di azzerare anni di lavoro e relazioni per la creazione di una solida rete commerciale.
Al fine di garantire continuità e varietà della propria offerta commerciale, alle imprese agricole è concesso di vendere prodotti di terzi, seppur in modo non prevalente.
Il terzo comma dell’art. 2135, Codice Civile, precisa, infatti, che oltre alle attività tipiche dell’impresa agricola, rappresentate dall’attività di coltivazione, silvicoltura e allevamento, “si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali”.
Pertanto, non si decade dalla qualifica di imprenditore agricolo qualora i prodotti acquistati da terzi, manipolati, trasformati e commercializzati dall’impresa agricola non siano prevalenti rispetto ai propri.
Il principio della prevalenza assume specifici risvolti nelle diverse discipline che riguardano l’impresa agricola.
Ad esempio, la disciplina della vendita diretta, ossia l’art. 4 del D.Lgs. n. 228/2001, con la quale si concede alle imprese agricole di vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio del Paese, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, prevede delle precise soglie in relazione alla cessione di prodotti di terzi che, se superate, determinano l’obbligo di ottenere l’autorizzazione per il commercio al minuto.
Il comma 8 dell’art. 4, D.Lgs. n. 228/2001, precisa, infatti, che: “Qualora l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell'anno solare precedente sia superiore a 160 mila euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato Decreto Legislativo n. 114 del 1998”.
Sul piano fiscale, in base all’art. 32, comma 2, lett. c), TUIR, le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni con specifico decreto[1], possono beneficiare della tassazione su base catastale.
Con la Circolare n. 44/E/2004, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito i criteri da adottare per verificare il requisito della prevalenza:
L’Amministrazione Finanziaria ha anche chiarito come le suddette attività connesse non possano prescindere da un’attività di manipolazione o trasformazione. Pertanto, la mera commercializzazione dei prodotti agricoli di terzi, anche qualora sia rispettato il principio della prevalenza, integra un’operazione di natura commerciale, cosicché il reddito che ne deriva non può essere assorbito dal reddito agrario, ma dovrà essere determinato analiticamente.
In relazione alle attività di manipolazione e trasformazione, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che qualora si manipolino o trasformino anche prodotti di terzi, opera la cosiddetta franchigia, pertanto sono qualificati come redditi agrari (ex art. 32, TUIR) i redditi rivenienti dall’attività di trasformazione dei prodotti agricoli nei limiti del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo (o, nel caso di acquisti per un miglioramento della gamma, nei limiti del doppio del valore normale delle medesime).
I redditi ottenuti dalla trasformazione delle quantità eccedenti si determinano analiticamente ai sensi dell’art. 56, TUIR.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, qualora l’attività di trasformazione o manipolazione riguardi beni che non rientrano fra quelli elencati nel citato decreto ministeriale, il mancato rispetto del requisito della prevalenza comporta che l’intero reddito prodotto generi reddito d’impresa, da determinarsi analiticamente in base all’art. 56, TUIR.
L’art. 1, comma 988, Legge n. 234/2021, prevede il mantenimento della qualifica di imprenditore agricolo a favore dei soggetti che, a causa di calamità naturali, di eventi epidemiologici, di epizoozie o fitopatie, dichiarati eccezionali ai sensi dell'art. 6, D.Lgs. n. 102/2004, non siano in grado di rispettare il criterio della prevalenza di cui all'art. 2135, Codice Civile.
La deroga opera solo in attesa della ripresa produttiva della propria azienda e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni dalla suddetta declaratoria.
Le imprese agricole colpite dalle recenti calamità atmosferiche possono quindi acquistare prodotti da terzi; la norma richiede che gli stessi si approvvigionino, prevalentemente, da altri imprenditori agricoli, e solo di prodotti agricoli del comparto agronomico in cui operano.
L’introduzione di tale norma rappresenta una ulteriore opportunità per tutte quelle imprese che hanno visto gravemente compromesse o completamente distrutte le loro produzioni (vegetali e animali) e può consentire loro di mantenere attiva la propria rete commerciale.
Ricordiamo che la perdita della qualifica di imprenditore agricolo porterebbe a conseguenze di non poco conto, quali:
[1] Attualmente è in vigore il D.M. 13 febbraio 2015.