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Con Sentenza n. 16595 del 12 giugno 2023, la Corte di Cassazione ha affermato che, a seguito dell’introduzione del comma 4-bis nell’art. 88, TUIR, il regime fiscale delle rinunce a crediti da parte dei soci non è più compatibile con la fictio iuris dell’incasso giuridico.
Il mutato quadro normativo di riferimento determina, infatti, che il socio, a seguito della rinuncia al credito vantato verso la società, aumenti il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito e la società, specularmente, benefici di una sopravvenienza attiva non tassabile solo nei limiti di tale valore. Il nuovo orientamento giurisprudenziale si riflette, in particolare, sulla rinuncia al trattamento di fine mandato da parte degli amministratori di società.
Nella Risoluzione n. 124/E/2017, l'Agenzia delle Entrate ha esaminato gli effetti reddituali conseguenti alla rinuncia di un socio al trattamento di fine mandato maturato all'atto della cessazione della carica di amministratore.
Siccome il TFM è tassato in capo all’amministratore secondo il principio di cassa, l'Amministrazione Finanziaria ha ritenuto che in tale particolare fattispecie trovasse applicazione il principio dell'incasso giuridico, con il conseguente obbligo di assoggettare a tassazione il TFM maturato, ancorché non incassato.
La rinuncia al credito vantato verso la società, infatti, avrebbe (comunque) determinato l’incremento del valore fiscale della partecipazione del socio/amministratore nella società. In capo alla società partecipata, inoltre, non si sarebbe determinato l’insorgere di una sopravvenienza attiva rilevante ai fini della formazione del reddito imponibile.
Secondo la tesi sostenuta dall’Amministrazione Finanziaria, la rinuncia del socio/amministratore alle quote del TFM maturato presuppone dunque l’avvenuto incasso giuridico del relativo credito, soggetto interamente a tassazione IRPEF in capo all’amministratore, con applicazione della ritenuta alla fonte da parte della società.
La possibilità di disporre di una somma di denaro costituisce, infatti, espressione della volontà di patrimonializzare la società e, di conseguenza, presuppone il conseguimento del credito il cui importo, anche se non materialmente incassato, viene comunque utilizzato a tal fine.
La tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate, fortemente dibattuta in dottrina, ha tuttavia trovato l’avvallo della giurisprudenza di legittimità che, in svariate pronunce, specie in tema di trattamento di fine mandato (si veda, tra le altre, l'Ordinanza n. 1335/2016), ha sostenuto l’applicabilità della tesi dell’incasso giuridico in caso di rinuncia ai crediti sociali relativi a redditi tassati per cassa.
Con la Sentenza n. 16595/2023, la Corte di Cassazione è tornata a esprimersi sull’applicabilità della tesi dell’incasso giuridico alla rinuncia, operata da un socio nei confronti di una società, agli interessi maturati su finanziamenti erogati a una società partecipata, ossia a un credito relativo ad un reddito tassato per cassa.
Secondo il nuovo orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, la rinuncia del socio al credito vantato verso la società non comporta l’obbligo di sottoporre a tassazione il relativo ammontare, con applicazione della ritenuta fiscale di cui all’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973.
Infatti, a seguito dell’introduzione del comma 4-bis nell’art. 88, TUIR, operata dal D.Lgs. n. 147/2015, la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva solo per la parte che eccede il relativo valore fiscale. Il nuovo regime, inoltre, impone al socio di comunicare alla società, con una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, il valore fiscale del credito (che, in mancanza della comunicazione, è assunto pari a zero, con conseguente tassazione dell’intera rinuncia, fiscalmente qualificata come sopravvenienza attiva).
Specularmente, gli artt. 94, comma 6, e 101, comma 7, TUIR, hanno previsto, in relazione al socio imprenditore che detiene la partecipazione in regime di impresa, che l’ammontare della rinuncia al credito che si aggiunge al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione sia da assumere nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia.
La rinuncia, inoltre, non è ammessa in deduzione, ed il suo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione, sempre nei limiti del valore fiscalmente riconosciuto del credito.
Il mutato quadro normativo prevede dunque che, a seguito della rinuncia, il socio aumenti il costo della partecipazione solo nei limiti del valore fiscale del credito, e che la società possa beneficiare di una sopravvenienza non tassabile solo nel limite di tale valore.
In definitiva, la rinuncia ad un credito avente valore fiscale pari a zero, come per i crediti collegati a redditi tassati per cassa, non incrementa il valore fiscale della partecipazione detenuta. Tale rinuncia determina, tuttavia, la tassazione integrale della sopravvenienza attiva in capo alla società partecipata.