L’art. 185, Direttiva n. 206/112/CE, c.d. Direttiva IVA, prevede che: “quando, successivamente alla dichiarazione dell’IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni”, occorre procedere alla rettifica della detrazione dell’IVA. Tale principio è stato integrato nel nostro ordinamento domestico con l’art. 19-bis2, D.P.R. n. 633/1972.
L’art. 19-bis2, D.P.R. n. 633/1972, distingue tra le diverse operazioni che possono integrare la necessità di rettificare l’importo dell’IVA originariamente detratto, prevedendo che:
- per i beni non ammortizzabili ed i servizi, l’IVA è rettificata in aumento o in diminuzione qualora i beni ed i servizi medesimi siano utilizzati per effettuare operazioni che danno diritto alla detrazione in misura diversa da quella inizialmente operata; ai fini di tale rettifica, si tiene conto esclusivamente della prima utilizzazione dei beni e dei servizi;
- per i beni ammortizzabili, la rettifica è eseguita in rapporto al diverso utilizzo che si verifica nell'anno della loro entrata in funzione ovvero nei quattro anni successivi (nove anni per gli immobili) ed è calcolata con riferimento a tanti quinti (decimi per gli immobili) dell'imposta quanti sono gli anni mancanti al compimento del quinquennio (o decennio per gli immobili);
- in generale, inoltre, la rettifica della detrazione, in positivo o in negativo, è dovuta in caso di mutamento del regime di detrazione dell’imposta; in tal caso la rettifica è eseguita limitatamente ai beni ed ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati e, per i beni ammortizzabili, è eseguita se non sono trascorsi quattro anni da quello della loro entrata in funzione (nove anni per gli immobili).
Sul tema dell’obbligo di rettifica dell’IVA è recentemente intervenuta la Corte di giustizia europea con la Sentenza n. 127/22.
Il caso riguardava un’impresa bulgara che aveva acquistato delle attrezzature necessarie e accessorie alla propria attività, detraendo l’imposta relativa alle corrispondenti fatture di acquisto. Dopo pochi anni, a causa dell’usura, dell’avanzamento tecnologico e della loro difettosità, tali beni erano divenuti obsoleti e, pertanto, inutilizzabili. L’impresa decideva quindi di procedere alla dismissione di tali beni per i quali procedeva dapprima ad effettuare le corrispondenti rettifiche dell’IVA, riversando quota parte dell’IVA detratta a monte con l’acquisto dei suddetti beni, per poi presentare istanza di rimborso delle ingenti somme versate a titolo di rettifica.
L’Amministrazione Finanziaria bulgara respingeva la richiesta di rimborso ed anche la strada giudiziale non aveva visto accolta la richiesta dell’impresa. Il contenzioso, giunto alla Corte di appello bulgara, è stato da quest’ultima rimesso alla Corte di giustizia europea per chiarire la portata dell’art. 185, Direttiva n. 2006/112/CE[1].
I Giudici comunitari hanno ribadito che l’art. 185, Direttiva n. 2006/112/CE, dispone, al paragrafo 1, che la rettifica della detrazione dell’IVA abbia luogo: “quando, successivamente alla dichiarazione dell’IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni”. Nel successivo paragrafo 2, tuttavia, è stabilito che essa non è richiesta, tra l’altro, “in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati”.
I Giudici europei hanno indicato che quando i beni non utilizzabili sono stati ceduti nell’ambito di un’operazione imponibile, risulta “soddisfatta la condizione che consente l’applicazione e il mantenimento del diritto a detrazione”, cosicché, a tal fine, è irrilevante la circostanza che l’operazione non rientri tra le attività economiche abituali del soggetto passivo.
Inoltre, non comporta obbligo di rettifica neanche la distruzione volontaria del bene, in quanto tale ipotesi è espressamente prevista dalla norma. In tal caso, però, l’avvenuta distruzione deve essere “debitamente dimostrata o giustificata” e il bene deve avere “oggettivamente perso qualsiasi utilità nell’ambito delle attività economiche del soggetto passivo”.
In conclusione, i principi espressi dalla Corte di giustizia europea sono stati i seguenti:
- non è richiesta la rettifica della detrazione dell’IVA assolta a monte se i beni, divenuti inutilizzabili, sono venduti allo stato di rifiuto e la cessione è soggetta a IVA;
- non è richiesta la rettifica della detrazione dell’IVA assolta a monte nel caso in cui i beni scartati siano distrutti volontariamente dal soggetto passivo e tale distruzione sia debitamente provata e giustificata.
Tali principi hanno carattere generale e, pertanto, si riflettono anche sull’applicazione della disciplina IVA italiana.
[1] Articolo 185, Direttiva n. 2006/112/CE:
- La rettifica ha luogo, in particolare, quando, successivamente alla dichiarazione dell'IVA, sono mutati gli elementi presi in considerazione per determinare l'importo delle detrazioni, in particolare, in caso di annullamento di acquisti o qualora si siano ottenute riduzioni di prezzo;
- In deroga al paragrafo 1, la rettifica non è richiesta in caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate, in caso di distruzione, perdita o furto debitamente provati o giustificati, nonché in caso di prelievi effettuati per dare regali di scarso valore e campioni di cui all'articolo 16.
In caso di operazioni totalmente o parzialmente non pagate e in caso di furto, gli Stati membri possono tuttavia esigere la rettifica.
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