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Le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto fine al dibattito giurisprudenziale decennale riguardo alla tassazione della ricognizione di debito ai fini dell’imposta di registro.
Con la Sentenza n. 7682 del 16 marzo 2023 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che la scrittura privata non autenticata di mero riconoscimento di debito debba essere ricondotta, ai fini dell’imposta di registro, all’art. 4, Parte II della Tariffa del D.P.R. n. 131/1986, che assoggetta, in caso d’uso, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale ad imposta fissa, attualmente nell’importo di euro 200.
Nel seguito si darà conto degli orientamenti giurisprudenziali in materia, oltre che del chiarimento fornito dalle Sezioni Unite riguardo alla definizione di caso d’uso.
Le posizioni assunte dalla giurisprudenza della sezione tributaria della Corte possono ricondursi a tre filoni interpretativi:
Alla dichiarazione di scienza sarebbe applicabile, quindi, né l’art. 9, parte prima, della Tariffa, né l’art. 3, parte prima della Tariffa, ma l’art. 4, parte II, della Tariffa, secondo cui, sono assoggettate, in caso d’uso, ad imposta di registro in misura fissa le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (allo stesso modo Cass. n. 15268/2021; Cass. n. 481/2018).
Nel proseguire la propria analisi, la Cassazione ha evidenziato che, nel genus degli atti aventi natura dichiarativa, sono tendenzialmente distinguibili tre diverse categorie di atti:
In ragione del fatto che la fattispecie su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite è riconducibile all’atto meramente ricognitivo di debito, le Sezioni Unite hanno ritenuto di enunciare il seguente principio di diritto: “La scrittura privata non autenticata di ricognizione di debito che, come tale, abbia carattere meramente ricognitivo di situazione debitoria certa, non avendo per oggetto prestazione a contenuto patrimoniale, è soggetta ad imposta di registro in misura fissa solo in caso d’uso”.
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, con la Sentenza n. 3415/13/2023 depositata il 14 marzo 2023, ha precisato che, ove non abbia carattere meramente ricognitivo di una situazione debitoria certa, la ricognizione del debito, quale atto di natura dichiarativa, va assoggettata ad imposta di registro nella misura dell’1%.
In altre parole, se la ricognizione del debito non è meramente ricognitiva è legittimo il suo assoggettamento a imposta di registro secondo l’aliquota dell’1% prevista per gli atti dichiarativi.
Allo stesso modo, le Sezioni Unite, nella sentenza commentata, hanno condiviso il medesimo principio per cui “Laddove, infatti, a mero titolo esemplificativo, indipendentemente dal nomen iuris adoperato di ricognizione di debito, debba riconoscersi alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale” dovrà applicarsi l’art. 3, parte I della Tariffa, con obbligo di registrazione in termine fisso, da assoggettare ad imposta proporzionale secondo l’aliquota dell’1%, da applicare al valore del bene o del diritto oggetto dell’atto dichiarativo.
Le Sezioni Unite, con la Sentenza n. 7682/2023 in commento, hanno affermato che il deposito di documento - precipuamente una nota di accompagnamento, contenente ricognizione di debito, depositata contestualmente ad assegno bancario in sede di ricorso - non costituisce “caso d’uso” in relazione all’art. 6 del D.P.R. n. 131/1986.
La Cassazione, infatti, ha ricordato che il caso d’uso, nell’ipotesi di deposito di un atto presso la cancelleria giudiziaria, si verifica se si tratta di una cancelleria che opera nell’ambito della giurisdizione volontaria, ma non se si tratta di una cancelleria che opera nell’ambito della giurisdizione “contenziosa”. Ciò in base al principio per cui la tutela giurisdizionale non può trovare ostacolo in un tributo dovuto in relazione ad atti da prodursi avanti al Giudice.