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Nel corso degli ultimi anni, gli adempimenti richiesti ai fini dell’utilizzo del plafond IVA sono stati oggetto di reiterati interventi, con la conseguente modifica della relativa disciplina sanzionatoria. Con la recente Ordinanza n. 20610/2023, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire che, ancorché i fornitori degli esportatori abituali non siano più tenuti a comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute, le violazioni commesse in vigenza di tale obbligo restano comunque sanzionabili, pur con l’applicazione della legge più favorevole.
Come noto, i soggetti che registrano operazioni non imponibili IVA ai sensi degli artt. 8, comma 1, lett. a) e b), 8-bis e 9, D.P.R. n. 633/1972, per un ammontare superiore al 10% del proprio volume di affari, assumono la qualifica di esportatori abituali e possono utilizzare il relativo plafond, ossia l’ammontare delle cessioni all’esportazione e delle operazioni assimilate conseguito, per acquistare e importare beni e servizi in ambito domestico senza applicazione dell’IVA.
L’agevolazione accordata agli esportatori abituali non può essere fruita dai soggetti che applicano il regime agricolo di cui all’art. 34, D.P.R. n. 633/1972, nonché dai soggetti che iniziano l’attività.
La non imponibilità IVA accordata dall’art. 8, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 633/1972, alle operazioni effettuate nei confronti degli esportatori abituali non trova tuttavia applicazione per l’acquisto di beni e servizi per i quali l’IVA sia oggettivamente indetraibile (come, ad esempio, autovetture, alimenti e bevande, spese di rappresentanza, telefoni cellulari, ecc.), anche per effetto del pro-rata, e per quelli privi del requisito dell’inerenza all’attività d’impresa esercitata. Il plafond, inoltre, non può essere comunque utilizzato per l’acquisto di fabbricati e aree fabbricabili.
Ai fini dell’utilizzo del plafond maturato, gli esportatori abituali sono tenuti a trasmettere la dichiarazione di intento all’Agenzia delle Entrate, che rilascia un’apposita ricevuta con indicazione del relativo protocollo di ricezione.
La lettera di intento è quindi messa a disposizione del fornitore, nel suo Cassetto fiscale; nella pratica operativa, naturalmente, gli esportatori abituali continuano a consegnare ai propri fornitori, senza indugio, una copia della dichiarazione d’intento trasmessa all’Amministrazione Finanziaria.
Prima di dar corso all’effettuazione dell’operazione non imponibile, i fornitori degli esportatori abituali sono tenuti a verificare l’avvenuta presentazione della lettera di intento all’Agenzia delle Entrate da parte dell’esportatore abituale.
Gli estremi del protocollo di ricezione della lettera di intento trasmessa all’Agenzia delle Entrate devono essere quindi indicati nelle fatture emesse dai fornitori degli esportatori abituali (o indicati, a cura degli stessi esportatori abituali, nella dichiarazione doganale d’importazione).
In particolare, così come previsto dal Provvedimento 28 ottobre 2021, prot. n. 293390/2021, dell’Agenzia delle Entrate, la fattura elettronica destinata ad un esportatore abituale deve obbligatoriamente riportare:
A tal fine, il fornitore deve compilare il blocco 2.2.1.16, “Altri dati gestionali”, per ciascuna dichiarazione d’intento, indicando:
In capo al fornitore che effettua operazioni non imponibili ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 633/1972:
è applicabile la sanzione amministrativa di cui all’art. 7, comma 4-bis, D.Lgs. n. 471/1997, dal 100% al 200% dell’imposta non applicata all’operazione, oltre al versamento della relativa IVA.
L’esportatore abituale è il soggetto responsabile dell’omesso versamento del tributo qualora rilasci al fornitore e trasmetta all’Agenzia delle Entrate il modello di dichiarazione di intento in mancanza dei requisiti richiesti o in misura maggiore rispetto al plafond disponibile. In queste ipotesi, in capo all’esportatore abituale è quindi applicata la sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’imposta, oltre al versamento della relativa IVA.
Inoltre, con effetto dal 1° gennaio 2021, l’art. 1, commi da 1079 a 1083, Legge n. 178/2020, inibisce l’emissione di nuove dichiarazioni d’intento da parte dei soggetti nei cui confronti, a seguito dell’effettuazione di specifiche analisi di rischio e di controlli sostanziali, sia stata disconosciuta la qualifica di esportatore abituale.
Tale disposizione, peraltro, prevede la possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di invalidare le dichiarazioni di intento precedentemente emesse e di scartare le fatture elettroniche nelle quali sia indicato il numero di protocollo di una dichiarazione d’intento invalidata.
Fino a tutto il 2014, l'esportatore abituale era tenuto a trasmettere la dichiarazione d’intento al proprio fornitore. Quest’ultimo, entro il giorno 16 del mese successivo, era tenuto a trasmettere i relativi dati all'Agenzia delle Entrate.
In vigenza di tali regole, la sanzione applicabile in capo al fornitore dell’esportatore abituale era stata fortemente mitigata, passando dalla sanzione proporzionale dal 100% al 200% dell’imposta (violazione sostanziale) a quella in misura fissa da 250 a 2.000 euro (violazione formale).
La sanzione era applicata qualora il fornitore dell’esportatore abituale avesse effettuato l’operazione non imponibile prima di aver ricevuto la dichiarazione di intento o, comunque, prima di averne riscontrato l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle Entrate.
Con la recente Ordinanza n. 20610/2023, la Corte di Cassazione si è espressa sulla misura della sanzione applicabile in capo al fornitore di un esportatore abituale che aveva mancato di osservare l’obbligo, vigente all’epoca dei fatti, di comunicare all’Agenzia delle Entrate, entro il giorno 16 del mese successivo, i dati delle dichiarazioni d’intento ricevute.
Tale inadempimento era punito con la sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’imposta, ai sensi dell’art. 7, comma 4-bis, D.Lgs. n. 471/1997, nella formulazione allora vigente.
In relazione al caso concreto, la Corte di Cassazione ha innanzitutto osservato che l’obbligo di comunicazione delle dichiarazioni d’intento ricevute era correlato all’esigenza di consentire un efficace controllo sull’applicazione della disciplina IVA di favore in esame.
La violazione, pertanto, non può essere considerata meramente formale (e, quindi, non punibile) poiché determina, comunque, un pregiudizio all’attività di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria.
La Corte di Cassazione ha precisato, inoltre, che in presenza di una pluralità di operazioni fra le stesse parti, si determinano tante violazioni quanti sono i termini maturati per l’invio della citata comunicazione omessa (dunque, l’illecito non concerne soltanto la prima fatturazione in regime di non imponibilità IVA, ma riguarda anche le fatturazioni successive, autonomamente punibili). Tuttavia, qualora ricorrano i presupposti, è possibile applicare il cumulo giuridico di cui all’art. 12, DLgs. n. 472/97.
I Giudici di legittimità si sono poi espressi circa la sussistenza di una fattispecie di abolitio criminis oppure di una successione di norme nel tempo, a fronte dei numerosi interventi che hanno interessato la disciplina in esame.
Sul punto, si ricorda che l’art. 3, D.Lgs. n. 472/1997, prevede che salvo diversa disposizione di legge, nessuno possa essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Inoltre, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, è applicabile la legge più favorevole, sempre che il provvedimento di irrogazione della sanzione non sia divenuto definitivo.
Relativamente al caso di specie, i Giudici di legittimità hanno osservato che le modifiche intervenute hanno soltanto ridotto, non eliminato, gli adempimenti posti in capo al fornitore dell’esportatore abituale. Infatti, anche se tale soggetto non è più tenuto ad inviare la comunicazione in esame all’Agenzia delle Entrate, resta comunque tenuto a riscontrare telematicamente che la dichiarazione d’intento sia stata trasmessa all’Amministrazione Finanziaria da parte dell’esportatore abituale.
La Corte di Cassazione, ribadendo il proprio consolidato orientamento in materia, ha quindi ritenuto che il caso in esame integri una successione di norme, rimettendo al Giudice di merito la valutazione circa la normativa sopravvenuta in concreto più favorevole al soggetto passivo.
È stato tuttavia escluso che le modifiche intervenute abbiano determinato un fenomeno abrogativo della normativa originaria (che avrebbe comportato la non punibilità del fatto).