Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
Nelle società di persone, specie in quelle a ristretta base societaria, capita sovente che i soci decidano unanimemente di prelevare somme dalla società anche in corso d’esercizio, qualificandole come anticipi sulla percezione degli utili.
Tale diffusa prassi non è tuttavia espressamente ammessa dalla giurisprudenza prevalente e può dunque presentare alcuni profili di criticità.
Dal punto di vista normativo, l’art. 2262, Codice Civile, prevede che: “(…) salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto.” Il successivo art. 2303, comma 1, Codice Civile, riferito alle società in nome collettivo ma applicabile anche alle società in accomandita semplice, dispone, inoltre, che non può farsi luogo alla ripartizione di somme tra i soci se non per utili realmente conseguiti.
La formulazione letterale del dato normativo lascia dunque intendere che nelle società di persone non sia ammesso il prelevamento di utili anteriormente all’approvazione del rendiconto.
Tuttavia, parte della dottrina ritiene ammissibile il prelevamento di utili anche prima dell’approvazione del rendiconto, sulla base dell’inciso “salvo patto contrario” contenuto nell’art. 2262, Codice Civile.
Tale orientamento giurisprudenziale, inoltre, è fondato sulle indicazioni a suo tempo rese dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 10786/2003, ove era stata riconosciuta la possibilità per una società in nome collettivo di imputare alcuni pagamenti a utili sociali di competenza del periodo in corso, proprio sulla base del sopraindicato inciso che, pur subordinando la distribuzione degli utili all’approvazione del rendiconto, ammetterebbe espressamente anche il patto contrario.
La giurisprudenza maggioritaria, invece, ritiene, sulla base del dato normativo, che il diritto dei soci di società di persone alla percezione degli utili sia comunque subordinato all’approvazione del rendiconto, ossia una volta verificata l’effettiva consistenza patrimoniale della società al termine di un anno di attività (cfr. Corte di Cassazione Sentenze nn. 17489/2018, 28806/2013 e 1240/1996).
Secondo tale orientamento, inoltre, il divieto al prelevamento di utili anteriormente all’approvazione del rendiconto risulta espressamente sancito dal disposto di cui all’art. 2303, comma 1, Codice Civile, che proibisce la ripartizione tra i soci di somme, se non per utili realmente conseguiti. In caso contrario trova applicazione la sanzione penale prevista dall’art. 2627, Codice Civile, in capo agli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti.
La Suprema Corte, peraltro, ha evidenziato come la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti costituisce un fenomeno che tende, per sua propria natura, a produrre un rimborso mascherato dei conferimenti, laddove, nelle società di persone, la quota di patrimonio corrispondente al conferimento a suo tempo eseguito può essere restituita al socio solo in caso di scioglimento del singolo rapporto sociale (recesso, esclusione e morte del socio) o della società, previo, in tal caso, pagamento dei creditori sociali.
Sulla base di tali considerazioni emerge che il prelievo di somme dalle casse sociali da parte dei soci, che non trovi una esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti dalla società, comporta l’insorgere del diritto della società di ripetere tali somme nei confronti di ciascun socio che le abbia fatte proprie.
Di conseguenza, posto che prima dell’approvazione del rendiconto non può dirsi maturato il diritto alla percezione degli utili, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che tale prelievo di somme dalla società generi un credito restitutorio a favore della società stessa che, in quanto tale, concorre a formare l’attivo patrimoniale anche ai fini della verifica di fallibilità dell’ente.