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Vanni Fusconi
Centro Studi
rivista-04-2025 Al soccidante l’intero quantitativo di animali a titolo originario

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per crescere le aziende agricole hanno bisogno di certezze, per questo motivo i chiarimenti forniti dall’agenzia delle entrate in materia di soccida semplice (risposta a quesito n. 134/2024) devono essere accolti positivamente. ritengo, infatti, che ogni sforzo interpretativo debba essere supportato da logiche giuridiche, diversamente, si rischia di incentivare prese di posizione fondate sull’opportunità, con il rischio di vederle immediatamente contraddette dalla giurisprudenza di legittimità. la risposta dell’agenzia delle entrate ha il pregio di offrire un inquadramento organico della disciplina iva del contratto di soccida semplice ed in questo caso le affermazioni fatte vengono fondate su elementi logico giuridici in grado di chiarire alcuni aspetti molto interessanti anche ai fini delle imposte dirette. la soccida consente al soccidante e al soccidario di curare in comune lo sviluppo del ciclo biologico degli animali per poi ripartire, a titolo originario, gli accrescimenti e/o i frutti che derivano dalla conduzione associata dell’allevamento. una peculiarità, quest’ultima, che ha ripercussioni estremamente rilevanti, poiché gli animali attribuiti all’una o all’altra parte possono essere considerati come derivanti dall’attività agricola principale di allevamento e, conseguentemente, usufruire della disciplina fiscale che consente di determinazione il reddito su base catastale (art. 32 del tuir) e di applicare il regime speciale iva di cui all’art. 34 del d.p.r. 633/1972. per questi motivi vi era la necessità, per alcuni aspetti soddisfatta dalla risposta n. 134/2024, di inquadrare in maniera sistematica l’istituto. mi riferisco, in particolare, alla soccida monetizzata in cui gli animali vengono ritirati interamente dal soccidante che provvede alla loro vendita e a liquidare al soccidario una quota di denaro. la quota spettante al soccidario (c.d. monetizzazione) assume la natura di utile e, in quanto tale, non è soggetta ad iva (risoluzione n. 504929 del 1973). in questa ipotesi il soccidario, pur assumendo la qualità di soggetto passivo iva, non può detrarsi l’imposta, poiché il principio dell’afferenza, sancito dall’art. 19 del d.p.r. 633/1972, preclude la detrazione dell’iva relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni attive esenti o fuori campo iva. la risoluzione del 1973 non sarà di certo ricordata per l’esaustività delle sue motivazioni (a dire il vero assenti), conseguentemente, negli anni, soccidante e soccidario hanno, in alcuni casi, trascurato gli aspetti contrattuali e formali del rapporto di soccida, scoprendo il fianco a contestazioni, a dire il vero non sempre fondate, con cui l’agenzia riqualifica la soccida semplice con ripartizione dei capi in una soccida monetizzata, con conseguente recupero dell’iva portata in detrazione. la corte di cassazione è intervenuta sul punto e, con la recente ordinanza n. 15764/2023, ha accolto il ricorso del contribuente stabilendo che per riqualificare il rapporto in soccida monetizzata non è sufficiente il fatto che l’accordo fra le parti preveda la monetizzazione degli accrescimenti, poiché la vendita e, quindi, la fatturazione degli animali, è una possibilità che rientra nell’autonomia contrattuale delle parti. l’orientamento espresso dai giudici di legittimità non deve portare a concludere, in maniera semplicistica, che l’agenzia è impossibilitata a riqualificare il rapporto fra le parti in soccida monetizzata. infatti, tali affermazioni potrebbero indurre a sottovalutare l’importanza di una gestione virtuosa del rapporto associativo, che non può prescindere da una redazione accurata del contratto di soccida e da una gestione corretta della relativa documentazione (verbale di inizio e fine ciclo). questa tesi, più volte evidenziata sulle pagine di consulenzaagricola.it, è stata recepita dall’agenzia che, con la risposta n. 134, ha chiarito che per dare fondamento giuridico alla ripartizione degli animali e legittimare la fatturazione della quota di spettanza del soccidario, è importante che gli accrescimenti vengano in prima battuta effettivamente divisi fra le parti, poiché, se così non fosse, non verrebbe meno la titolarità del bestiame in capo al soccidante (articolo 2171 del codice civile) e i compensi percepiti dal soccidario potrebbero essere assimilati a una ripartizione di proventi in denaro. si tratterebbe, quindi, di un’operazione non rilevante ai fini iva e, come più volte stabilito dalla cassazione, non spetterebbe alcun diritto di detrazione (pronunce 11592/2021, 14971 e 21491 del 2005, 8727 e 27715 del 2013). per evitare contestazioni è opportuno che al termine del ciclo di allevamento avvenga la ripartizione degli accrescimenti tra il soccidante e il soccidario, determinati dalla differenza inventariale degli animali rilevati a fine ciclo rispetto a quelli di inizio del ciclo di allevamento. per questo motivo è necessario che le parti redigano un verbale di inizio ciclo e un verbale di fine ciclo, entrambi contenenti l’indicazione del numero, della razza, della qualità, del sesso, del peso, dell’età e del prezzo di mercato degli animali conferiti in allevamento. inoltre, la valorizzazione degli accrescimenti deve avvenire soltanto dopo che il soccidante ha prelevato un complesso di capi che corrisponda alla consistenza degli animali all’inizio della soccida. le riflessioni offerte dall’agenzia ai fini iva offrono lo spunto per tentare di dare fondamento giuridico alla soccida monetizzata. questa fattispecie, infatti, è stata coniata dalla stessa amministrazione finanziaria ma, fino ad oggi, è rimasta priva di un adeguato coordinamento fra disciplina civilistica e fiscale. ai sensi di quanto previsto dall’art. 2171 del codice civile, nella soccida semplice il bestiameè conferito dalsoccidante e la stima del bestiame all'inizio del contratto di soccida non ne trasferisce la proprietà al soccidario. come evidenziato dall’agenzia, se a fine ciclo di allevamento gli animali non vengono divisi fra le parti, previa restituzione al soccidante di una quota di animali corrispondente a quella originariamente conferita, la titolarità iniziale dell’intero quantitativo dei capi oggetto dell’allevamento non viene interrotta. nel caso in cui le parti decidano di monetizzare gli accrescimenti non avviene alcuna divisione degli animali ed il soccidante mantiene, con continuità, la titolarità dell’intero quantitativo di bestiame provvedendo direttamente alla vendita. alla luce di ciò si ritiene che in quest’ultima ipotesi il soccidante sia legittimato a considerare l’intero quantitativo di animali nella sua disponibilità a titolo originario potendo, quindi, usufruire legittimamente del regime fiscale proprio dell’attività agricola principale (art. 32 del tuir – art. 34 d.p.r. 633/1972). del resto, in un’ottica di coerenza ed organicità, se in caso di mancata divisione degli animali si vuole da un lato negare al soccidario la possibilità di fatturare una quota di accrescimenti, dall’altro occorre riconoscere l’intera titolarità degli animali al soccidante a titolo originario. vanni fusconi, centro studi ©riproduzione riservata
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