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Il padre può usufruire dei propri permessi dedicati contestualmente alla madre, lavoratrice autonoma, che percepisce l’indennità di maternità: il principio di alternatività, infatti, opera solo nei confronti delle lavoratrici dipendenti.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22177 del 12 settembre 2018.
Un padre lavoratore dipendente, nell’anno 2009, ha richiesto il diritto di usufruire dei riposi giornalieri di due ore previsti dall’art. 40 del D.Lgs. 151/2001 fino al compimento del primo anno di vita della figlia.
Tale richiesta è stata però contestata, sostenendo che il lavoratore non poteva usufruire di tale diritto, in quanto la moglie, lavoratrice autonoma, percepiva l’indennità di maternità, dopo essere rientrata al lavoro già nell’ottobre 2009, ad appena due settimane dal parto.
Secondo l’INPS, però, la fattispecie in esame violava le disposizioni del richiamato art. 40, il quale prevede il necessario principio di alternatività tra i genitori: pertanto, si riteneva illegittima la fruizione contemporanea dei permessi dell’uno (il padre) e dell’indennità dell’altra (la madre) nell’esercizio dei diritti spettanti ai genitori in caso di maternità/paternità e previsti dall’art. 39 e seguenti del D.Lgs. 151/2001.
Nei primi due gradi di giudizio i giudici del Tribunale e della Corte d’appello rigettavano i relativi ricorsi presentati dall’Istituto Previdenziale, considerando come scorretta la pretesa dell’ente di voler equiparare, pur nell’evidente differenza di disciplina, la situazione della madre lavoratrice autonoma e di quella dipendente.
I giudici di legittimità hanno ribadito i principi già enunciati nei giudizi di merito, confermando come legittima la richiesta presentata dal lavoratore e rigettando il ricorso dell’INPS, il quale sosteneva che la similarità della situazione di fatto delle neomamme non giustificava una diversa applicazione del principio di alternatività espressamente previsto dall’art. 40, lettera b) del richiamato D.Lgs. 151/2001 per i compagni delle madri lavoratrici dipendenti.
Secondo l’Istituto, nel silenzio della disciplina contenuta nella successiva lettera c), tale principio andava esteso analogicamente anche al caso di madri lavoratrici autonome.
Tali argomentazioni, però, non sono state fatte proprie dalla Corte di Cassazione, la quale ha affermato che l’alternatività nel godimento dei riposi giornalieri da parte del padre sia prevista solo in relazione alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga.
Per quanto riguarda, invece, le lavoratrici autonome, tale ulteriore precisazione non è stata fatta dal legislatore: pertanto, afferma la Corte, il principio dell’alternatività non opera per tali fattispecie.
D’altronde, proseguono i giudici nella loro argomentazione, tale differenza di trattamento è giustificata da una sostanziale differenza di fatto di cui tiene conto la norma: la lavoratrice autonoma ha un minore livello di protezione economica in caso di maternità e questo può comportare la necessità di rientrare al lavoro il prima possibile.
Per temperare tale differenza, nonché per assicurare il diritto a garantire l’adeguata assistenza e protezione della prole, il legislatore ha ritenuto corretto attribuire al padre del bambino il libero accesso a tali permessi, senza dover sottendere al limitante principio di alternatività.
La sentenza in commento merita una particolare riflessione anche per quanto riguarda il mondo dell’agricoltura.
Il principio ivi contenuto, infatti, sembra potersi applicare anche nel caso di una lavoratrice autonoma titolare della qualifica di IAP o CD. Si ritiene, infatti, che nel caso di maternità da parte di una madre titolare di detta qualifica, il padre lavoratore dipendente possa esercitare il proprio diritto ai riposi per l’assistenza del figlio.
Se tale convinzione trovasse conferma ufficiale, potrebbe essere un’interessante notizia per tutte le “madri agricole”.