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Le ore di cassa integrazione autorizzate sino ad oggi sono pari a quattro miliardi per un costo in carico allo Stato di venti miliardi di euro.
A questi dati allarmanti, che denotano lo stato di grave crisi nella quale si trova il nostro Paese, vanno aggiunte le previsioni di un milione di lavoratori che rischiano il posto di lavoro (soprattutto nei settori dei servizi, commercio e artigianato), dopo la fine del divieto dei licenziamenti.
La Legge di Bilancio ha posticipato il termine al 31 marzo 2021, ma i rumors parlano già di un’ulteriore proroga al 30 giugno.
Le imprese, i datori di lavoro, indipendentemente dalla dimensione aziendale e indipendentemente dall’aver fruito interamente degli ammortizzatori sociali previsti dalla vigente normativa, non potranno licenziare i propri dipendenti per motivi connessi all’attività e quindi rientranti nel così detto giustificato motivo oggettivo (GMO).
Rientrano nel blocco dei licenziamenti, a titolo esemplificativo, le seguenti cause:
È possibile invece, sempre a titolo esemplificativo, procedere alla risoluzione del contratto di lavoro in caso di:
Nel caso in cui i datori di lavoro violino tale obbligo, il licenziamento sarà considerato nullo e il lavoratore dovrà essere immediatamente reintegrato in azienda.
Cosa succederà dopo la data di fine blocco dei licenziamenti? Prevederlo è molto facile, purtroppo, ma difficile sarà creare le condizioni per la tenuta dell’occupazione ed il contestuale sostegno alle imprese per la ripresa, oltreché la spinta economica al mercato del lavoro.
In questo periodo le imprese dovranno pensare alla riorganizzazione dell’attività, valutare soluzioni che consentano il mantenimento dei posti di lavoro, oltre ad una contestuale gestione del lavoro e della produttività.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro