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Senza l’accordo sindacale, l’imprenditore non può porre in essere alcun tipo di controllo a distanza sui lavoratori in orario di lavoro. Laddove, infatti, nell’ambito di un’ispezione, un funzionario del Ministero del Lavoro riscontrasse l’abusiva presenza di strumenti preposti a tale attività di controllo, questi è tenuto a impartire una prescrizione ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs. 758/1994, al fine di rimediare all’irregolarità rinvenuta.
Ciò è stato precisato dal Ministero del Lavoro con la nota n. 11241 del 1° giugno 2016.
La questione ruota attorno all’applicazione dell’art. 4, primo comma, della legge 300/1970 che, anche nella formulazione introdotta dal Jobs Act (D. Lgs. 151/2015), prevede che l’installazione di un impianto di videosorveglianza non può avvenire in assenza di uno specifico accordo collettivo, stipulato tra il datore e la rappresentanza sindacale unitaria o aziendale (o comunque quella comparativamente più rappresentativa, se riguardante sedi ubicate in più province o regioni).
In assenza di tali rappresentanze, si può procedere all’installazione solo con l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, nel caso di imprese con unità produttive site in più distretti, direttamente del Ministero.
La nota 7162 del 16/4/2012 ha specificato che, al fine del rilascio di tale autorizzazione, non è necessario un accertamento tecnico preventivo dello stato dei luoghi, ma è bensì sufficiente un’analisi della documentazione prodotta dal datore, documentazione che deve attestare le specifiche tecniche dell’impianto.
Per aversi violazione delle norme in esame, non è necessario che l’impianto sia funzionante: è infatti sufficiente che le apparecchiature di videosorveglianza o di localizzazione satellitare siano installate, anche se non concretamente utilizzate.
Ciò è stato confermato anche dalla giurisprudenza: la Cassazione penale, nella sent. 4331/2014, ha affermato che “l’idoneità degli impianti a ledere […] il diritto alla riservatezza dei lavoratori […] è sufficiente anche se l’impianto non è messo in funzione poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo”.
Si ha violazione anche nel caso in cui tale controllo sia comunicato con preavviso ai lavoratori, ovvero nel caso in cui il controllo sia svolto in maniera discontinua.
Il mancato rispetto della norma in materia di videosorveglianza comporta l’applicazione di un’ammenda da 154 a 1.549 euro, ovvero con l’arresto da 15 giorni a un anno, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.
Pertanto, se l’ispettore riscontra tale installazione abusiva, questi ha l’obbligo di fissare un termine successivo, prorogabile su richiesta del contravventore ma dalla durata massima di sei mesi, affinché il datore regolarizzi la sua posizione, tramite la rimozione degli impianti.
In alternativa, il datore può raggiungere l’accordo con la rappresentanza sindacale ovvero ottenere l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro, prima di tale termine, facendo venire meno i presupposti oggettivi dell’illecito. In tal caso, il contravventore sarà tenuto a pagare, nel termine di 30 giorni, una sanzione di importo pari al 25% del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
Concludendo, occorre precisare che la disciplina sopra esposta non è applicabile nel caso di strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa, ovvero per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Perciò, l’impresa potrà liberamente sottoporre a controllo il computer o lo smartphone, se necessari all’attività lavorativa, senza dover chiedere alcun consenso.