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Il tema del licenziamento per il lavoratore che si macchia di reati al di fuori dello svolgimento dell’attività lavorativa è senza dubbio delicato e oggetto di ampio dibattito.
All’interno di questa discussione si pone la recente sentenza della Corte di Cassazione che, con la pronuncia n. 24566 del 1° dicembre 2016, ha affrontato tali problematiche: il caso riguardava un soggetto, arrestato in flagranza per spaccio di droga, che, successivamente all’arresto, veniva licenziato dal proprio datore di lavoro.
Il lavoratore contestava l’assenza di giusta causa di tale licenziamento, in quanto il reato era stato compiuto, secondo la difesa, nell’ambito della vita privata del soggetto e che, pertanto, non poteva inficiare il ruolo all’interno dell’azienda del lavoratore stesso.
Di segno diverso, invece, erano le argomentazioni del datore di lavoro, il quale sosteneva che, anche a causa dell’ampia diffusione della notizia data dai giornali locali, il disvalore sociale ed etico del reato commesso era suscettibile di screditare l’immagine dell’intera azienda.
Inoltre, la dedizione a tali pratiche, se poste in essere sul luogo di lavoro, potevano rappresentare un potenziale rischio per la produzione, i colleghi ed i clienti. Pertanto, il licenziamento doveva ritenersi pienamente legittimo.
I giudici di merito respingevano le difese del lavoratore e lo stesso faceva la Corte di Cassazione: il licenziamento per giusta causa non deve considerarsi una necessaria conseguenza di un comportamento illecito posto in essere durante l’orario di lavoro, ma può dipendere anche da azioni compiute al di fuori di esso, laddove queste comportino un danno morale e materiale al datore di lavoro oppure compromettano il rapporto fiduciario tra il dipendente ed il datore stesso.
Tale valutazione, precisa la Corte, deve essere sempre operata in concreto, parametrandola al singolo caso: occorre infatti prendere in considerazione la tipologia di reato commesso e il tipo di pregiudizio che tale condotta può comportare in capo al datore di lavoro.
Nel caso in esame, quindi, i giudici hanno ritenuto che la detenzione e lo spaccio di droga, non solo potessero minare la reputazione dell’azienda, ma fossero anche comportamenti tali da mettere in pericolo l’incolumità degli altri, minando irreversibilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore: pertanto, il licenziamento è stato ritenuto pienamente legittimo.